Galydhà, la “firma” del formaggio caprino di Sardegna fortemente presente nella Gdo in Italia e all’estero, è nel mirino degli inquirenti per una grave vicenda d’inquinamento ambientale, manifestatosi con grande virulenza nel corso dell’estate.
A far balzare l’azienda ai disonori della cronaca è stato il forte inquinamento del Lago Flumendosa e dei terreni sui quali lo stabilimento sorge, in località Genn’Antine, nel comune di Villagrande Strisaili (Ogliastra). Da tempo il bacino d’acqua è invaso da alghe altamente tossiche, schiuma e sostanze biancastre, e nell’acqua torbida galleggiano oramai una moltitudine di pesci privi di vita.
Il 25 scorso, con un’irruzione degna dei migliori film d’azione, gli uomini del Corpo Forestale dello Stato e i tecnici dell’Arpas (Agenzia Regionale Protezione Ambiente della Sardegna), hanno fatto il loro ingresso nello stabilimento caseario ogliastrino, in compagnia del professor Nicola Sechi – ordinario di Ecologia presso l’Università di Sassari – e del procuratore di Lanusei Domenico Fiordalisi. Chi ha aperto la porta alla nutrita delegazione presentatasi in azienda, si è visto mettere sotto il naso non un decreto di perquisizione ma due – uno per lo stabilimento, l’altro per il bacino d’acqua Bau Muggeris prossimo all’azienda e che afferisce al lago – entrambi firmati dal procuratore Daniele Rosa.
A seguito delle prime risultanze, la Galydhà – controllata dalla Amalattea SpA di Roma – sarebbe indagata nelle persone di alcuni dirigenti, per inquinamento ambientale in quanto secondo le prime verifiche, ora in fase di approfondimento, avrebbe sistematicamente e da tempo scaricato nei propri terreni scarti di lavorazione.
Essendo in corso le indagini, il riserbo è massimo, e ancora non trapelano i nomi degli iscritti sul registro degli indagati, ma dalle prime indiscrezioni raccolte la questione potrebbe riguardare anche i funzionari pubblici che avrebbero autorizzato la Galydhà a scaricare i reflui nel terreno (cosa assurda di per sé ma clamorosa nel caso specifico, per via della pendenza del terreno verso il lago e per la conformazione del suolo, non in grado di assorbire i liquami).
Nel frattempo sono in corso le analisi di laboratorio, per stabilire la natura delle sostanze finite nel lago. L’alta specializzazione e l’esperienza del professor Sechi (esperto di eutrofizzazione degli ecosistemi lacustri e delle specie algali potenzialmente tossiche per l’uomo) consentono ai magistrati di poter giungere presto a capo della vicenda, senza tema di smentita. Per completare l’opera, gli inquirenti hanno deciso di estendere gli accertamenti ad altre aziende che hanno sede nella zona, in prossimità del bacino lacustre.
1 settembre 2010