Tempi duri per le associazioni di categoria del mondo agricolo che, al di là d’una funzione ufficiale di rappresentanza e la consueta invadenza mediatica, riescono a tutelare sempre più i propri interessi che quelli dei lavoratori del proprio comparto. È così che il consenso di Coldiretti sta piombando in questi ultimi tempi verso i minimi storici, a valutare dagli attriti con i pastori nelle ultime manifestazioni di Roma e Cagliari e al flop di presenze registrato martedì scorso in quella di Latina, con un migliaio di presenze scarse a fronte di un’aspettativa dichiarata di cinquemila iscritti.
Di certo non va meglio a Cia, Copagri e Confagricoltura, che al di là delle recenti dichiarazioni programmatiche unitarie difficili da perseguire – viste le diversissime “anime” che le differenziano – si trovano anch’esse a lottare contro le delusioni di una categoria che non si sente più rappresentata e che altresì si coagula attorno a nascenti gruppi locali che si rafforzano sempre più e che tenteranno – se tutto andrà per il verso giusto – una via unitaria per conseguire una rappresentatività realmente aderente alle necessità di settore.
E così, mentre il popolo dei social network registra il crescere di questo spontaneo fermento, i primi tentativi di confronto interregionale tra i gruppi spontanei di base inizia a farsi sentire, tant’è che varie emittenti televisive locali stanno dedicando un crescente interesse a queste nascenti realtà e a un loro possibile coordinamento.
Nonostante questo, c’è ancora chi continua a predicare una facciata di sostegno per agricoltori e allevatori e a sostenere di fatto gli interessi delle solite lobby. Tra di essi brilla Confagricoltura, che non teme l’impopolarità nell’apparire apertamente schierata con l’agroindustria e con le grandi firme del biotech, a tal punto che il suo presidente Federico Vecchioni sottolinea come a suo avviso realtà del calibro del Prosciutto di Parma e del Parmigiano-Reggiano non possano e non debbano svincolarsi dagli Ogm.
«È necessaria», ha affermato di recente Vecchioni, «una riflessione sulle biotecnologie agricole per le filiere zootecniche del Parmigiano-Reggiano e del Prosciutto di Parma». «È ovvio», a proseguito il numero uno di Confagricoltura, «che in determinati contesti territoriali e di comprensorio delle specificità vadano salvaguardate: ma se parliamo della Pianura Padana, o delle commodities agricole che alimentano le filiere zootecniche del Parmigiano-Reggiano e del Prosciutto di Parma, una riflessione va fatta, perchè in quel caso i cereali sono assolutamente deficitari, e quindi in quelle realtà di produzione una riflessione sull’utilizzo delle biotecnologie oggi è essenziale».
Dettagli importanti, quando si pensa che molti di questi prodotti vengono ancora sbandierati come tradizionali, autentici e fortemente rappresentativi di un “made in Italy” che di italiano ha spesso, oramai, solo una parte della filiera produttiva, e un filo sempre più tenue con le proprie radici locali.
27 ottobre 2010