Il mercato dei consumi di massa si contrae, si sa, e le major del settore s’affannano a conquistare spazi vitali sino a pochi anni fa trascurati – come l’export – o mai immaginati, vista la diffusa qualità, mediamente standardizzata e raramente vocata all’eccellenza. È così che, supportato da una fredda quanto opinabile strategia di marketing, il progetto è partito, affidato a Latteitalia*, promosso dall’Afidop e patrocinato dal MiPAAF . Un progetto con cui è stata decisa “d’ufficio” la nascita del “carrello dei formaggi Dop” (guai a metterci un formaggio non-Dop, forse?), per conquistare, pare, quegli esercizi che se un carrello lo hanno, hanno quello dei dolci.
Poche riflessioni e molti dubbi, sul successo a cui l’iniziativa andrà incontro:
1. il fenomeno del carrello dei formaggi è nato dal successo dei formaggi d’autore, sostenuti in anni ed anni di lavoro da un mondo di appassionati (in genere, in Italia legato all’Onaf, Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi), maestri degustatori, ristoratori, che hanno basato le loro conoscenze casearie sulla passione, la competenza, la professionalità. Il mercato che doveva recepire il loro lavoro è oramai – se non saturo – prossimo alla saturazione. Dove troveranno spazio i “carrelli Dop”? Nei ristoranti dove nessuno ha mai provato un briciolo d’interesse per il mondo caseario? Nelle trattorie? Nelle pizzerie?
2. i circa vent’anni di buon lavoro di appassionati, maestri degustatori e ristoratori hanno portato alla presenza nei ristoranti italiani di gamma medio-alta e nelle enoteche di qualità una proposta casearia in cui difficilmente trovano spazio le Dop, a parte qualche raro caso di Parmigiano-Reggiano “d’autore” o di Dop “anomale” quali il Ragusano o il Provolone del Monaco (dove le dimensioni contenute e i “paletti” ben posti consentono anche le eccellenze), e questo senza alcun pregiudizio avverso da parte delle giurie dei premi né di chi si occupa di acquisti negli esercizi. Quale ne sarà il motivo?
Come funzionerà quindi questo “carrello dei formaggi Dop”? Sarà calato dall’alto ai ristoratori che sinora si sono disinteressati al formaggio? Sarà proposto “a condizione che i formaggi non-Dop ne vengano esclusi”?
Giratela pure come volete questa frittata, ché pare proprio non ci sia verso di capire di cosa sappia. Di sicuro l’iniziativa, fatta ancora una volta dai “grandi” con i soldi di tutti (le Dop e l’Afidop – che questa azione promuove – hanno molto più accesso ai sostegni pubblici di quanto ne ottengano i piccoli produttori più autentici) rischia di togliere mercato al mondo più vero delle produzioni rurali, pastorali e di malga. Perché, per quanto poco spazio potranno acquisire con questa curiosa iniziativa le Dop, quando l’elefante si muove, in genere, un po’ di danno finisce per farlo.
Infine ci sorge un dubbio, forse sull’aspetto più plateale e grottesco: in quei pochi esercizi in cui riuscirà a sbarcare, a chi verrà affidata l’iniziativa? Al primo cameriere che passa, che – 90 su 100 – mai ha provato un seppur vago interesse al formaggio? E con quali competenze verranno proposti e saranno illustrate le diversità tra i vari formaggi? “Certo”, obietterà qualcuno, “è lo stesso problema che hanno i carrelli dei dolci dal centrino di plastica”, con la differenza che il dessert di per sé “fa gola”, mentre il formaggio, a venderlo, si fa sempre fatica . Siamo in Italia e non in Francia, purtroppo, e in questo caso non possiamo dire “per fortuna”.
3 giugno 2011
* società consortile subentrata circa un anno fa alla Unalat