Richieste e attese dal consorzio di tutela “in un percorso durato otto anni, sono scattate il 29 agosto scorso le modifiche del nuovo disciplinare di produzione del Parmigiano-Reggiano, finalizzate in gran parte ad offrire maggiori garanzie ai consumatori e la certezza di un controllo della filiera che giungerà sino al confezionamento in zona di produzione”.
Dicono questo decine di articoli pubblicati dalla stampa nazionale nei giorni scorsi, riportando, in una avvilente consuetudine una visione parziale di una vicenda (incapacità di approfondire e dire la loro o semplice asservimento agli interessi consortili?) assai più complessa di quel che raccontano le cronache.
«Il sistema delle garanzie per i consumatori e per gli stessi produttori», sottolinea il presidente del consorzio Giuseppe Alai, «si arricchisce di tasselli fondamentali, completando quel percorso di tracciabilità che già aveva raggiunto livelli di eccellenza con l’introduzione della placca di caseina che identifica ogni forma e la materia prima dalla quale deriva, ma alla quale abbiamo puntato ad aggiungere anche quel confezionamento in zona d’origine che serve ad evitare qualunque manipolazione impropria del prodotto proprio nella fase finale del suo percorso».
Tra le novità introdotte, che “consentiranno una maggiore vigilanza e controlli più agevoli”, secondo l’agenzia giornalistica Agi, “il confezionamento del prodotto, che dovrà avvenire all’interno della zona d’origine, mentre al di fuori del comprensorio di produzione sarà possibile solo nel punto vendita, e quindi sotto gli occhi del consumatore”.
La modifica, così presentata alla stampa, mostra una parte delle conseguenze prodotte dal provvedimento: quelle positive certo, ma che sono tali solo su un fronte del mercato: quello che più dà fatturato (soprattutto ai produttori “big”) e che meno punta alla qualità assoluta (ma che guarda a distribuzione al dettaglio, Gdo, ristorazione collettiva, ristorazione di qualità medio-bassa).
Cosa dovranno fare adesso i vari Guffanti, Valsana e Cravero, tanto per citarne tre (diversi sì tra loro), e le decine di altri che – chi più chi meno – hanno dedicato attività spesso ultradecennali alla soddisfazione del top del mercato (alta ristorazione e tavole gourmand in Italia e all’estero)? Il contraccolpo è facile da prevedere: i più grandi ristoranti italiani e stranieri, le più ricercate gastronomie e formaggerie che si servivano di varie tipologie di Parmigiano-Reggiano, e di Fontina (anche quel consorzio ha introdotto la stessa modifica, e altri ne seguiranno), non potranno che ridurre il ventaglio della proposta ed avere un fornitore per ognuno dei formaggi i cui consorzi decideranno (ormai è una tendenza) di introdurre questa restrizione.
Ancora una volta ha prevalso la logica dei grandi numeri e del fatturato. Ma a quale prezzo verrà combattuta questa “guerra” contro i falsari? Quanti ristoratori in futuro saranno ancora orgogliosi di proporre alla loro clientela una selezione mortificata da un provvedimento del genere?
Le altre due modifiche
Per la cronaca, citiamo le altre due modifiche introdotte nel disciplinare di produzione del Parmigiano-Reggiano, che riguardano la produzione di latte destinato alla trasformazione, con la quarantena produttiva per le bovine provenienti da altre filiere, e l’innalzamento della quota di foraggio prodotta all’interno degli allevamenti, che passa dal 35% al 50%.
2 settembre 2011