Ci risiamo. Ad ogni flessione di mercato, agganciarsi al rimorchiatore McDonald’s è, per le “grandi firme” del food made in Italy, una tentazione irresistibile. In passato lo hanno fatto Asiago, Bresaola e Parmigiano-Reggiano, e proprio quest’ultimo tornerà presto a unire il proprio nome a quello del più noto fast-food mondiale.
Nessuna enfasi è stata pronunciata dalle due parti, per ora, forse anche per i non pochi commenti negativi che in passato arrivarono da molti media, anche da quelli che il diritto di critica lo usano col contagocce, e da diversi esperti di comunicazione, che stigmatizzarono l’operazione come sbilanciata a vantaggio del marchio statunitense. Un’operazione che, commentarono in molti, non offre un significativo volano alle vendite Nè verso i nuovi giovani consumatori né tantomeno sui mercati esteri.
Ma questa reiterata operazione, al di là del mero fatto commerciale, che prezzo avrà per la realtà diffusa del Parmigiano-Reggiano? A nostro avviso un prezzo non equo: alleggerendo sì i locali di stagionatura di grandi caseifici, rinfrancando le loro casse con un po’ di liquidità (il colosso è ben avvezzo però a trattative estenuanti, quindi ci sarà poco da ridere) ma “contaminando” una presunzione di eccellenza con l’idea massima di globalizzazione che esista in campo agroalimentare.
Chi si troverà a pagarla a più caro prezzo saranno ancora una volta i produttori della montagna, legati alle scelte produttive d’un tempo che sono l’unica garanzia per una qualità assoluta (provate a stagionare un Parmigiano di un colosso produttivo, per vedere se arriva ai sei, sette e più anni delle eccellenze!), e provati da costi di gestione inevitabilmente più elevati. Due anime di una stessa realtà – quella visceralmente mercantile e quella della tradizione a tutti i costi – che tirano in due direzioni opposte. Quanto tempo potrà durare ancora tutto questo?
Se è vero infine che nulla accade per caso, come non ricordare che nelle scorse settimane la Confcooperative e la Federazione delle Coop Agricole avevano lanciato un nuovo allarme sulle eccessive giacenze?
In questo sconcertante scenario, appaiono stridenti le parole di chi, come il consigliere provinciale del Pdl Giuseppe Pagliani, si è di recente rallegrato per per questa operazione, parlando del «bisogno di cogliere nuove opportunità commerciali europee ed internazionali» e sostenendo che sia «giusto continuare a investire in mercati esteri, quali quello cinese sempre più pieno di persone arricchite e facoltose». Peccato che Pagliani non sappia quanto poco interesse ci sia per il formaggio da parte dei consumatori cinesi. Speriamo per lui che la prossima volta, prima di aprire bocca cerchi di documentarsi almeno un po’.
30 settembre 2011