Il disavanzo è importante, tra produzione e richiesta di mercato. I grandi dottori che da tempo si accalcano al capezzale del “malato” non sanno trovare la ricetta adatta a riportarlo in piena forma, come larga parte del mondo del food vorrebbe vederlo, il “re” dei formaggi d’Italia, e come i produttori – chi più chi meno – meriterebbero che fosse.
È così che ancora una volta, come già altre volte in passato, associazioni agricole di categoria, amministratori locali ed esperti di vario genere hanno valutato i sintomi, esposti dal diretto interessato – il consorzio – per poi sentenziare che una soluzione non c’è, se non quella di “tagliare”: “per una richiesta che cala, si cala la produzione”. Lapalissiano.
E il peggio è che per una produzione che aumenta non esiste export che tenga a far sì che il prezzo del prodotto non rischi una picchiata da brividi; le giacenze sono in preoccupante crescita, e con i locali di stagionatura pieni, nei caseifici, si sa, si lavora col magone. Le recenti modifiche al disciplinare di produzione, presentate come un toccasana a favore dei consumatori, non si prospettano neanche loro risolutive, anzi, semmai riescono a penalizzare la fascia alta del mercato.
Come già raccontato da noi mesi fa, quando le ultime variazioni introdotte divennero operative, la gran parte tra i più seri selezionatori e stagionatori che servono il mercato di alta fascia, e che sono fuori dalla zona di produzione, si son visti impediti nell’operare il buon lavoro portato avanti per anni e per decenni. Con buona pace di chi, ristoratore italiano in Italia o all’estero non riesce più ora ad ottenere l’eccellenza che aveva saputo reperire negli anni. E se è vero com’è vero che l’alta ristorazione è la vetrina massima del made in Italy di qualità, al Parmigiano-Reggiano sta mancando – e mancherà sempre più nel tempo – uno dei principali sostegni del marketing.
Servirebbe quindi uno scatto che non c’è, dal punto di vista della promozione, e allora il pensiero va, ormai ossessivo per chi è coinvolto in questa vicenda, alla “necessità” del taglio. Un taglio che metterà in ginocchio una parte di quei caseifici oggi reduci dallo sfoltimento indotto dal mercato negli anni scorsi, e che rischiano di allargare la schiera delle cessate attività. “Trovare nuovi sbocchi di mercato”: è questa l’idea – incompiuta per ora e difficile da compiere, a quanto pare – a cui gli esperti sono indotti da quel 6,6% di maggior produzione registrato negli ultimi tempi.
I piani produttivi che indicheranno le soglie di produzione da non superare e che garantirebbero nelle intenzioni un prezzo remunerativo e teoricamente stabile sono di là da venire: una teoria ancora da praticare e il cui successo sarà tutto da verificare.
Di fronte a questo smarrimento generale si è alzata ancora una volta una voce “fuori dal coro”: quella del consigliere regionale Fabio Filippi, che insiste sulla necessità di sostenere il Parmigiano-Reggiano di montagna, e che punta il dito contro il consorzio di tutela, “reo”, a suo giudizio, di essere in pianura e di operare per la pianura. Filippi auspica la creazione di un marchio specifico per quel tipo di prodotto e di un’azione orchestrata recependo l’invito della Comunità Europea ad evidenziare e sostenere i prodotti delle “terre alte”.
11 novembre 2011