Ancora una volta l’hanno presentata come una loro vittoria, anche se vittoria non è, e anche se la vicenda stessa ha nelle sue radici una buona parte di responsabilità delle stesse associazioni agricole. Coldiretti ha lanciato giovedì scorso, con i soliti toni trionfalistici e la potenza mediatica che la contraddistinguono, una nota stampa che lascerebbe intendere che il proprio intervento sia stato risolutivo nel caso Lactitalia.
La boutade appare come l’ennesima speculazione sulla pelle dei pastori sardi, le cui sorti non sono cambiate di un nulla in meglio in questi mesi di reiterate e sacrosante proteste, né per l’intervento della politica né tantomeno per quello delle associazioni di categoria. Dopo una serie di prese di posizione un po’ logore (le solite teorie sull’italian sounding, apparentemente buone ad ogni occasione) sulla vicenda, e a seguito della discesa in piazza di alcune centinaia di persone con la bandiera gialloverde (quanti i veri pastori per una Coldiretti mai tanto lontana dalla base come oggi?, ndr) l’associazione presieduta da Sergio Marini ha salutato l’intervento del Governo, risoluto ma tardivo, come una propria conquista.
La recente direttiva del ministro Passera tesa ad impedire che enti pubblici come la Simest diano in futuro il proprio sostegno ad aziende ree di speculare sull’italian sounding (è il caso della Lactitalia, che in Romania produce, con know how italiano e latte rumeno prodotti come la Ricotta, il Toscanello, il Pecorino e il Dolce Vita) ha comportato l’uscita immediata della stessa Simest dalla compagine azionaria di Lactitalia ma senza che in tutto questo l’azione (quale azione?) di Coldiretti abbia sortito effetti di sorta.
La vicenda era assurta ai disonori della cronaca un anno e mezzo fa, quando nel pieno della più manifesta crisi dei produttori sardi di latte ovino (prezzo imposto dall’industria, accusata di fare cartello, e non più sufficiente a coprire neanche i costi di produzione, ndr) era scoppiato il caso: un’azienda rumena, la Lactitalia, appunto, largamente nelle mani degli industriali del latte Pinna di Thiesi, produceva (e produce) formaggi in diretta competizione con quelli italiani, proprio col sostegno economico della Simest, vale a dire con soldi pubblici.
Per quanto Marini e soci continuino a gridare vittoria, il problema di base persiste, e persiste anche per l’inefficacia dell’azione dei sindacati agricoli: i Pinna, che ora per qualche tardiva prudenza hanno oscurato il proprio sito web, continuano a produrre formaggi apparentemente italiani all’estero, saturando con quelli non tanto il mercato italiano (mica scemi, no?, ndr) quanto quello straniero, e continuano a imporre il prezzo del latte in Sardegna senza che nessuno faccia nulla di concreto per cambiare le sorti del mondo pastorale. Forse semplicemente perché, al di là delle belle parole, gli interessi di politica e associazionismo sono su troppi fronti espressi.
24 marzo 2012
Per saperne di più:
– È offline il sito Lactitalia. Qui il link, tante volte lo ripubblicassero.
– Anche la stampa rumena ne parla. Clicca qui per leggere.
– E poi, un eloquente pagina del sito web Simest che esorta le aziende a disinvestire dall’Italia per investire all’estero.
– E infine, qui (e qui sotto come screenshot, tante volte sparisse dal web noi abbiamo anche l’html 😉 la pagina recuperata su webtimemachine dal nostro lettore Giosuè Rino (che ringraziamo infinitamente)