La notizia era apparsa la scorsa settimana sul sito web Giornalettismo, uno dei top dell’ informazione web italiana (al 207° posto della classifica di ranking, oggi), ed è probabile che abbia dato fastidio in casa Ferrero. Il pezzo “Sai davvero che latte c’è nella Nutella?”, pubblicato da quel sito il 19 aprile, attingeva ad un articolo del Fatto Alimentare che a sua volta citava un pezzo di Alfredo Clerici, tecnologo alimentare che tempo addietro si era preso la briga, su Newsfood, di mettere a nudo delle antipatiche questioni di sostanza che toccano i tasti più dolenti in tema di consumi alimentari: salubrità del prodotto, trasparenza, veridicità delle attività di comunicazione e correttezza dell’informazione al consumatore.
Nel mirino degli articoli – che hanno dato una grande visibilità alla cosa – c’è il cambiamento dell’etichetta del prodotto, che di recente ha visto spuntare la dicitura “latte scremato”, a seguito di un esposto all’Antitrust presentato dallo stesso Clerici e relativo allo spot “bontà a colazione”.
La pubblicità “incriminata” (qui nell’articolo alcuni suoi frame) mostra un’allegra famiglia a colazione con voce fuori campo che annuncia gli ingredienti, mentre questi piovono letteralmente dal cielo sotto forma di nocciole, latte e cacao. Ad essere stata contestata, in sostanza, è l’espressione “buon latte”, seguita dall’affermazione “è così che nasce Nutella”. Secondo l’esposto del Clerici nello spot si configurerebbero i termini dell’ingannevolezza del messaggio in quanto, come indicato tra gli ingredienti, il latte utilizzato è quello in polvere, peraltro anche scremato.
Ma in sostanza la notizia odierna sta nella controffensiva mossa ieri da Ferrero, che, come spesso in questi casi accade per le “grandi firme”, ha deciso di parlare attraverso il quotidiano di Confindustria Il Sole 24 Ore per dire invero come le cose stanno. O meglio come si vorrebbe che fossero credute.
L’articolo, col suo bel titolo lineare “Nutella: sull’etichetta spunta il latte scremato” ricorda innanzitutto che si sta parlando della “cioccolata più amata dagli italiani” (come a pretendere un qualche rispetto dovuto) e poi entra nel merito del cambiamento in etichetta raccontandolo non come un’imposizione di qualcuno, bensì come una scelta del marketing aziendale.
In effetti, vista la mala parata e il concreto rischio che l’Antitrust avrebbe prima o poi imposto la modifica, ai piani alti dell’azienda si dev’essere deciso di giocar d’anticipo, se non altro poi per presentare la cosa come frutto di una acquisita determinazione alla trasparenza. Teoria alquanto irricevibile da una casa che, più che a mostrare, si è fin qui impegnata nel celare il celabile e sempre nell’offrire attraverso i media i più retorici meccanismi di persuasione più o meno occulta che i manuali del marketing prevedano (bambini belli e felici e sportivi esperti di buon latte).
28 aprile 2012