Mai come in questa edizione il Cheese di Bra ha ospitato, a quanto ci è parso di vedere, tanti prodotti “altri”, differenti dal formaggio, a partire dalla birra, per finire al gelato “artigianale”, che, a parte rare eccezioni, è un prodotto legato alla zootecnia intensiva; vale a dire a vacche recluse in stalla e alimentate con insilati di mais e unifeed. Esattamente al contrario di quanto si prefiggerebbe di valorizzare l’associazione che asserisce di promuovere il cibo “buono, pulito e giusto”.
Un’altra discordanza che abbiamo notato circolando per gli stand del Cheese, rispetto alle premesse altisonanti dei mesi scorsi, è stata legata alla presenza di molti, moltissimi formaggi da latte pastorizzato o termizzato. Le aspettative di quanti avessero creduto di poter vivere un’edizione all’insegna del solo latte crudo si sono infrante nel solito pout-pourri di formaggi d’ogni genere. Oltre alle produzioni casearie d’eccellenza, che valorizzano i terroir, le razze autoctone e i saperi dei pastori e dei casari, anche i prodotti standardizzati, fatti con latti comperati chissà dove e prodotti senza una vera e propria “anima”. Peccato davvero.
Il gelato al Cheese: quale qualità, con il latte intensivo?
Tornando a quello che ci è sembrato il più intruso tra gli intrusi, parlando di qualità reali e di valori altisonanti – ovvero del gelato come lo si intende largamente oggi, figlio di un latte sempre uguale a sé stesso – Slow Food ha palesato la maggiore delle contraddizioni offrendo uno spazio importante alla Compagnia dei Gelatieri, creatura di Alberto Marchetti, gelataio piemontese che ha ben gestito in questi anni la propria crescita a colpi di promozione e marketing, sponsorizzando tra l’altro il progetto della biodiversità di Slow Food.
E proprio sul piano della comunicazione e del marketing si è parlato molto di gelato nei giorni scorsi sui giornali e sulle pagine delle agenzie di stampa, come ha fatto negli spazi dell’AGI (Agenzia giornalistica Italiana) Nerina Di Nunzio, ex direttore marketing e comunicazione del mensile “Gambero Rosso”, raccontando che “Il gelato è una mia fissazione, mi piace smascherare chi finge e promuovere chi invece rispetta le regole, nel caso della Compagnia dei Gelatieri parliamo quasi di un gruppo d’integralisti!”
Su questo tema la Di Nunzio ha intervistato il presidente internazionale di Slow Food, che a modo suo ha confermato le premesse dell’intervistatrice: «Il gelato», ha detto Carlo Petrini, «è un prodotto che più di ogni altro riassume la nostra italianità, mi riferisco al gelato quello vero, fatto senza basi e senza additivi. Oggi possiamo dire che il gelato artigianale può rappresentare l’Italia all’estero meglio della pasta». E il latte? Carlin, cosa dici? Quando parli di latte ti dimentichi dei requisiti di “buono pulito e giusto” che il cibo-vero deve avere per essere promosso e sostenuto? È un peccato non fare nulla per guidare verso l’eccellenza anche il mondo del gelato artigianale, che – così com’è – rischia di essere ancora per lungo tempo la cenerentola di tutti i settori produttivi basati sull’uso del latte.
Nella speranza che il fare dei “gelatieri artigiani” converga in un prossimo futuro verso i temi dettati da Slow Food in questa edizione del Cheese (e in particolare sull’uso di latti da erba) e che gli stessi amici di Slow Food facciano qualcosa affinché ciò accada, non ci resta che rimanere alla finestra per vedere se qualche sedicente maestro del gelato vorrà indirizzare il resto della “compagnia” verso un gelato degno di essere definito “pulito e giusto”, oltre che (apparentemente) buono.
19 settembre 2017