Il “formaggio della transumanza” e la lezione sul mais: qualcosa non quadra nella divulgazione di Latterie Vicentine

Eccolo il formaggio da una tonnellata di Latterie Vicentine. Vi sembra un prodotto della transumanza? – foto tratta dalla pagina Facebook di Latterie Vicentine

Si parla di transumanza con sempre maggior frequenza, da alcuni anni a questa parte, a volte con qualche approssimazione e abuso (è accaduto di nuovo la settimana scorsa), tant’è che le iniziative legate a mandrie e greggi impegnate in migrazioni più o meno autentiche trovano sempre maggior spazio sui media italiani. A volte meritatamente, altre meno.

Per chi non ne sapesse molto, sintetizziamo dicendo che le vere transumanze possono essere suddivise in due tipologie: quelle verticali, condotte dal piano (o da mezza costa) alla montagna e viceversa, e quelle orizzontali, dall’entroterra verso il mare, in andata e in ritorno. Minimo comun denominatore tra le due tipologie, la ricerca di erba buona per i propri ruminanti che – vivaddio! – qualcuno ancora tratta per quel che sono: degli erbivori.

Tra i tanti utilizzi del termine “transumanza”, quello che meno ci è piaciuto quest’anno è stato operato nelle settimane scorse da Latterie Vicentine per annunciare un evento tenutosi nella sede di Bressanvido ieri, domenica 1º ottobre.

La manifestazione, intitolata “Latterie Vicentine in Festa”, ha avuto come principale motivo di attrazione il taglio di un formaggio di oltre una tonnellata di peso, denominato il “Formaggio della Transumanza”. Un prodotto realizzato con il latte di centinaia di conferitori, con materia prima proveniente da tante, troppe aziende, per essere accostato all’idea di transumanza; un latte prodotto tanto in pianura quanto in montagna, ma da aziende largamente riconvertite alla zootecnia intensiva. Gente che la cultura dell’erba l’ha lasciata alle spalle da decenni, tanto è avvezza all’uso di insilati e unifeed.

Nel ricco programma, consultabile cliccando qui, risaltano evidenti il sostegno che Slow Food e Onaf hanno dato alla manifestazione, con due laboratori, e quello che per noi è ancora più grave: un momento di didattica per bambini intitolato “Alla scoperta del mais”. Grave perché dedicato proprio a quel cereale che con la sua diffusione ha portato gli allevatori a disconoscere i valori dell’erba per seguire le mire di un profitto che peraltro mai è arrivato e mai arriverà.

Decantare il mais ai bambini di oggi – e farlo mentre si parla di transumanza – oltre ad un’operazione altamente scorretta – garantisce al futuro dell’azienda e del mercato dei consumatori mal informati, già che con le sue monocolture quel cereale ha ridotto la biodiversità vegetale ed animale, saccheggiato rilevanti risorse idriche e appiattito, dal Piemonte al Veneto, il paesaggio della Pianura Padana. Un mais e una zootecnia intensiva che nel tempo hanno condotto migliaia di allevatori a produrre un latte non più legato al terroir, come sarebbe altrimenti stato, riducendo la bianca bevanda ad essere uno dei prodotti più globalizzati e peggio pagati del nostro Paese. E non solo.

2 ottobre 2017