Ogni anno, nei Paesi dell’Unione Europea, centinaia di allerta alimentari Rasff portano al richiamo (e ai successivi sequestro e distruzione) di un’infinità di derrate alimentari, per le più disparate cause: dai metalli pesanti oltre i limiti massimi ammessi ai pezzi di vetro finiti chissà come nel cibo, alle zoonosi come escherichia coli e salmonella, solo per citarne alcune.
Da qualche tempo a questa parte, le aflatossine hanno conquistato il primato di una sempre maggiore diffusione e temibilità, contro cui poco è stato fatto sinora, e poco si potrà fare in futuro se non interverranno nuovi approcci agro-zootecnici (il mais nell’alimentazione animale è il principale fattore di rischio, ndr), essendo la loro diffusione legata al clima, oltre che alle scelte aziendali e ai metodi di coltivazione.
Le aflatossine, che si sviluppano dal metabolismo di alcuni ceppi fungini di Aspergillus flavus e Aspergillus parasiticus, colpiscono i substrati vegetali di numerosi cereali, semi oleaginosi (arachidi, pistacchi, etc.), spezie, granaglie, frutta secca ed essiccata. E li colpiscono sia durante la coltivazione che durante il raccolto e l’immagazzinamento.
A preoccupare sono, oltre alla loro crescente diffusione, le gravi conseguenze che esse comportano per la nostra salute, a causa della loro elevata tossicità e cancerogenicità, in grado di provocare emorragie, edemi, danni epatici anche rilevanti. E morte.
La difficoltà di contrastare l’insorgenza e la diffusione delle aflatossine è fortemente legata alle condizioni climatiche in cui detti aspergillus si sviluppano, con temperature comprese tra 25°C e 32°C e in condizioni di ridotte precipitazioni, con cui il cambiamento climatico in atto ci costringerà a confrontarci d’ora in avanti.
Il caso di Vicenza: quattro mesi con pena sospesa e non menzione
In un quadro così serio, con prospettive allarmanti sul piano della salute pubblica, ogni azione di contrasto alla diffusione di questo grave problema deve essere messa in atto, da quelle preventive, che dovrebbero includere anche e soprattutto una propensione a metologie di alimentazione degli animali caratterizzate da minori criticità, a quelle di controllo (i casi di cronaca ci hanno mostrato spesso sistemi di elusione adottati da soggetti senza scrupoli, che tagliano un latte buono con uno pessimo per rientrare nei limiti di legge, ndr), a quelle sanzionatorie. Vale a dire che i soggetti colpevoli di operare senza curarsi delle conseguenze per la salute pubblica andrebbero sanzionati con la giusta severità.
In questo senso duole constatare come personaggi che hanno responsabilmente fatto circolare alimenti contaminati da aflatossine riescano a farla franca, come accaduto nei giorni scorsi al legale rappresentante della Latteria Sociale di Trissino – in provincia di Vicenza – che ha patteggiato quattro mesi di reclusione, per giunta con pena sospesa e non menzione, come se la salute di decine di migliaia di persone che hanno o avrebbero consumato quei prodotti non contasse nulla.
La notizia, forse anche per l’ignoranza di larga parte della stampa sulle questioni che toccano il mondo agricolo, è apparsa ad oggi solo sul quotidiano locale Il Giornale di Vicenza, e racconta che Francesco Verlato – questo il nome dell’imputato – era accusato in qualità di legale rappresentante dell’azienda, di aver messo in commercio alcune migliaia di forme di formaggio contaminate da aflatossina M1.
Il dubbio che ci coglie, accostando la gravità della questione al metro con cui la medesima è stata giudicata, è se il nostro sistema di giustizia si relazioni e quanto con le istituzioni scientifiche e sanitarie del nostro Paese e per quali motivi, in presenza di un fenomeno che andrebbe messo a freno, si lasci che vengano a crearsi le condizioni per massimizzare i rischi anziché ridurli al minimo, come si dovrebbe.
4 dicembre 2017