Come ogni anno, alla fine del vecchio anno, con l’approssimarsi dell’assemblea del Consorzio del Grana Padano che si terrà a fine gennaio, l’ente di tutela organizza assemblee consultive con la base produttiva. Come ogni anno i presidenti dei caseifici cooperativi e i rappresentanti delle industrie di trasformazione delle varie province, assieme ai vertici del consorzio, gettano un ultimo sguardo verso l’anno che sta per terminare, per tirare le somme, pesare le tendenze, definire una strategia per l’anno nuovo.
Fondamentali anche stavolta le valutazioni dei numeri che contano, con la sola Cremona che ha fatto registrare un piccolo passo indietro nelle vendite, e con le altre principali province che hanno marcato progressi in grado di generare un totale di tutto rispetto: 4.470.047 forme vendute, con un 1,07% in più (+48mila forme) rispetto ad un pur soddisfacente 2016.
Ad animare maggiormente il confronto nelle sedi assembleari è stato però il fenomeno dei similari, prodotti sia all’estero che in Italia, a volte dagli stessi produttori di Grana Padano, che pur di vendere diversificano, per abbracciare un mercato più ampio (la forbice di prezzo al dettaglio tra le due tipologie si attesta attorno ai 2€/kg), utilizzando le eccedenze di materia prima generate dalla fine del regime delle quote latte. Poi, si sa, ci sono i similari proveniente dai Paesi dell’Est, segmento variegato, vista la presenza di operatori senza una vera e propria tradizione produttiva e produttori che invece hanno scelto di delocalizzare – in territori come la Moravia – con l’intento dichiarato di produrre meglio.
Come prevedibile il confronto sul tema è risultato animato, mettendo a nudo le ragioni degli uni con quelle degli altri: la necessità di mantenere una linea di galleggiamento per chi produce e il richiamo del consorzio al rispetto di regole comportamentali, e sinanco deontologiche, che risultano in eterno divenire dovendosi adattare alle evidenze del mercato.
Oltre al divieto di produrre il cosiddetto “bianco” (i similari, non marchiati sullo scalzo) sulle medesime linee di produzione del Grana Padano, il consorzio indica un equilibrio tra le due tipologie che non superi il 30% di similare e che garantisca il 70% di Dop. Certo, l’obiettivo del consorzio è quello di veder produrre solo ciò che il mercato può assorbire, considerando che il latte in eccesso è andato sinora verso i similari; fronte su cui verosimilmente verranno proposte le soluzioni alternative che il mercato offre, a cominciare da quella della panna, che in passato ha dato risultati soddisfacenti.
Come suggerito dal presidente del consorzio, Stefano Berni, si lavorerà per aree di intervento, come l’identità, l’accreditamento, le occasioni, i benefici. Tutte opzioni da tenere ben presenti nella promozione e nella produzione di packaging e supporti visivi per i punti vendita. Attraverso questi elementi si comunicheranno i “valori aggiunti” che il Grana Padano ha in sé, a partire da un disciplinare di produzione che i competitor non sempre hanno. E che, se talvolta hanno, non sono chiamati a rispettare.
In sostanza, nelle preoccupazioni che il mondo del Grana Padano oggi palesa si intravedono diverse affinità con quelle di cui il Parmigiano Reggiano ha sofferto e soffre ancora, proprio nei confronti della Dop rivale, con le differenze di due disciplinari molto diversi percepiti però come simili, e con l’affinità di una concorrenza che usa l’appeal di un prezzo inferiore. Argomento che, specialmente in un periodo di recessione economica, è spesso in grado di fare la differenza.
Se da un lato non è piacevole il correre, sentendosi mordere la giacca da qualcuno, da un altro ancor meno lo è l’essere in una competizione a tre, con la sensazione crescente di trovarsi forse nel posto sbagliato al momento sbagliato. Vale a dire tra l’incudine e il martello.
15 gennaio 2018