È con i Greci che il formaggio esce dall’anonimato ed entra nel mito, nella letteratura e quindi nella storia. E anche stavolta in principio fu una capra! Viaggiando verso occidente, dai lontani monti Zagros la capra addomesticata arriva in Grecia, dove viene definitivamente consacrata dal mito. Fu infatti la capra Amaltea (o la capra di Amaltea, principessa cretese, a seconda dei racconti tramandati) a nutrire con il suo latte il piccolo Zeus che, sottratto alle grinfie del padre Crono, venne allevato nel chiuso di una grotta sul monte Ida, a Creta, custodito dai Coribanti, i quali, con il fracasso dei loro scudi e delle loro lance di bronzo, coprivano le grida del divino fanciullo; un corno della capra nutrice si trasformò poi nella cornucopia, simbolo di abbondanza.
È facile leggere nel mito l’omaggio tributato da tutto un popolo all’animale che forniva un alimento prezioso, ricco sul piano nutrizionale e facilmente conservabile, grazie a tecniche che i Greci perfezionarono nel tempo. Non a caso essi nobilitarono le origini del formaggio, che secondo il mito fu un regalo fatto dagli dei agli uomini: ad Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, reso immortale e divino dalle Ore e da Gea, toccò il compito di insegnare agli uomini a fare il cacio, oltre che a frangere le olive e ad allevare le api. E dopo la consacrazione mitica, quella letteraria: era un pastore il violento e selvaggio Polifemo, che Omero, in un passo famoso dell’“Odissea” (libro IX), descrive intento a mungere le sue pecore e a produrre formaggio, probabilmente usando caglio vegetale (succo di fico).
Nella produzione casearia i Greci impiegavano esclusivamente latte di pecora e di capra, in quanto gli ovini si adattavano facilmente ai pascoli magri tipici dell’area mediterranea; i bovini, che richiedono pascoli grassi rari in quelle terre, erano assai meno numerosi e venivano utilizzati come animali da traino e da lavoro. Senza dire del pregiudizio per cui il latte vaccino veniva considerato nocivo. Nonostante tale apparente limitazione, furono proprio i Greci a far progredire notevolmente le tecniche casearie: dando vita a una produzione molto varia, che andava dalle ricotte ai formaggi a pasta molle e a pasta dura che, stagionati all’aria e al vento, venivano consumati sia come companatico sia grattugiati; utilizzando caglio vegetale – in genere succo di fico e di cardo silvestre – ma anche caglio animale; creando integrazioni dell’elemento di base con condimenti e sapori di miele, di frutta (fichi e mele), di olive, di cipolle e di erbe aromatiche. Nacquero così delle vere e proprie Dop ante litteram, visto che numerose città o località dell’Ellade erano note per le loro produzioni tipiche: Lesbo, Creta, la Beozia, il Chersoneso e infine, dopo la colonizzazione dell’Italia meridionale (avvenuta tra l’ VIII e il VI secolo a.C.), Gallipoli e la Sicilia.
Filosofi, scienziati e scrittori ci hanno lasciato descrizioni delle tecniche di produzione casearia (il filosofo Aristotele, IV secolo a.C.), elogi delle proprietà nutritive del formaggio (il fondatore della scienza medica Ippocrate, V secolo a.C.), ricette a base di cacio (il poeta siciliano Archestrato, IV secolo a.C.). Un alimento, il formaggio, che nell’antica Grecia era sempre presente su tutte le mense, dalle più povere alle più ricche; che aveva già allora i suoi prodotti di punta: la feta e la ricotta, insaporita con miele o con erbe; che si rivelò quanto mai duttile nell’impiego: con esso, infatti, si facevano torte e si preparavano bevande ricostituenti, come quella descritta da Omero, in cui venivano mescolati vino, cipolle, farina d’orzo, miele e cacio caprino grattugiato; con esso si creavano pietanze prelibate destinate a mense importanti, come la “myma”, in cui il formaggio veniva mischiato alla carne.
Nadia Butini
Károly Kerényi, “Gli dei e gli eroi della Grecia”, Il Saggiatore tascabili, 2009
Omero , “Odissea”, ed. Bur, traduzione di Ippolito Pindemonte , 1961
Approfondimenti web