La rivoluzione industriale arrivò in Italia con molto ritardo: ostacolata dal frazionamento politico della penisola e dall'arretratezza delle sue strutture, nella prima metà dell'Ottocento conobbe solo qualche piccola isola di industrializzazione, localizzata prevalentemente al Nord della penisola. Fu dopo l'unità che il nostro Paese si avviò sulla strada dello sviluppo, che si sarebbe però completato assai più tardi con il boom economico degli anni 1958-63, indubbiamente favorito dall'ingresso nella Comunità Europea.
Così, anche nel settore caseario bisogna attendere gli ultimi decenni del XIX secolo per veder nascere le prime industrie nostrane. Di alcune fra esse vogliamo accennare la storia, in quanto vicende esemplari nell'evolversi dell'economia dello Stivale, di cui sono lo specchio. Tre marchi ancora oggi noti, se non altro a chi ha superato i trent'anni: Galbani, Invernizzi e Locatelli; chi non ricorda, infatti, slogan come “Galbani vuol dire fiducia” o personaggi dei caroselli televisivi come “Susanna tutta panna” e la Mucca Carolina? Tre aziende con percorsi analoghi e un'unica origine: la Valsassina, in Lombardia, terra d'elezione di Taleggio, Gorgonzola, Robiole e Quartirolo, che a livello artigianale davano vita da tempo a una fiorente produzione. Qui, a Ballabio, Egidio Galbani nel 1880 decise di sfruttare la ricchezza di quella tradizione casearia per intraprendere un'attività che superasse gli angusti limiti locali.
Convinto della bontà dei formaggi prodotti nella sua terra, pensò che essi avrebbero trovato estimatori anche fuori e cominciò a commerciare stracchini e quartiroli locali, dopo averli fatti stagionare. Tutto partendo da un modesto capitale iniziale di cinquecento lire. Poi, con l'obiettivo di competere con i formaggi francesi che allora – a fronte di una produzione nostrana artigianale e fortemente localizzata – non conoscevano rivali nel nostro territorio, creò un formaggio, la Robiola Galbani, che voleva emulare il Brie francese e con il quale ebbe grande fortuna. Negli anni seguenti nuove specialità si aggiunsero alle prime, fino alla creazione nel 1906 del famoso “Bel Paese” (titolo del libro dell'abate Antonio Stoppani, che a sua volta si rifà ai celebri versi danteschi del canto XXXIII dell'Inferno: “Ahi Pisa vituperio delle genti / del bel paese là dove 'l sì suona” ); nel frattempo agli stabilimenti di Ballabio se ne aggiunsero altri dislocati altrove, fino ad arrivare a quella che sarà poi la storica sede di Melzo. Nel 1920, con l’espansione delle vendite all’estero (Svizzera e Germania in testa), la piccola impresa familiare divenne una società per azioni per giungere poi, negli anni Cinquanta, alla produzione di salumi.
Sempre a Ballabio, nel 1860, nacque la ditta di Mattia Locatelli, che dapprima si limitò a una modesta attività di stagionatura del Gorgonzola. In pochi anni Mattia allargò la sua sfera d'azione a tutta la Lombardia e già alla fine dell'Ottocento furono aperte succursali all'estero: a Londra, a Buenos Aires. Nei decenni seguenti fu ampliata la gamma di formaggi prodotti e furono aperti nuovi caseifici in Emilia, in Piemonte e persino nel Lazio. Gli anni Sessanta videro anche la piccola, in origine, azienda Invernizzi raggiungere dimensioni europee: 200.000 metri quadrati di stabilimenti a Melzo, 3.000 persone che vi lavoravano, una capillare rete di distribuzione, con filiali in tutti i capoluoghi di provincia; tutto questo fu il frutto dell'attività indefessa di Romeo Invernizzi – e dei suoi più stretti collaboratori – che dagli anni Venti in poi trasformò in industria moderna la modesta attività artigianale di famiglia. Tre storie di successo e di capacità imprenditoriali, che accompagnarono lo sviluppo dell'economia italiana sino alla fine del XX secolo. In quegli anni le tre storie finirono; peccato: nessuna con un lieto fine.
Nadia Butini
Bibliografia
Antonio Stoppani, “Il bel paese”, ed. The British Library, 2010