Con l'XI secolo d.C., il peggio del Medioevo è passato: le tecniche agricole, di coltivazione e zootecniche, conoscono sostanziali progressi; i collegamenti – via terra, via fiume e via mare – si intensificano; i commerci e gli scambi si riaccendono; i centri urbani si ripopolano. Inizia l’età dei Comuni e delle città, la cui aria rende liberi dalla servitù feudale. Anche il formaggio conosce, pian piano, una vera e propria nobilitazione: da cibo povero, destinato al popolo, si trasforma infine in alimento ricercato, presente sulle tavole dei ricchi sia come condimento (di pasta, ravioli etc.) che come ingrediente di numerose pietanze o, semplicemente, da solo.
Lo testimoniano i ricettari dell’epoca, come il trecentesco ”Anonimo toscano” (“Libro della cocina”) conservato in un codice miscellaneo presso la Biblioteca Universitaria di Bologna o il “Libro de arte coquinaria”di Maestro Martino, il più grande cuoco italiano del Quattrocento, vicino intellettualmente ai circoli umanisti romani nei quali era attivo Bartolomeo Sacchi – detto Platina – autore del “De honesta voluptate et valetudine” (“Il piacere onesto e la buona salute”), pubblicato probabilmente intorno al 1474.
Si radica ancora di più la consuetudine di mangiare il formaggio a fine pasto, tipica del mondo classico e suggerita anche dal “Regimen sanitatis” della Scuola medica Salernitana: “si post sumatur, terminat ille dapes” (“se consumato dopo, pone fine al pasto”), confermata poi dal Platina: “perché sigilla la bocca dello stomaco e toglie la nausea provocata dai cibi grassi”.
Persiste, ancora nel ‘400, una certa diffidenza nei confronti del formaggio stagionato, che lo stesso Platina sconsiglia in quanto “è pesante da digerire, nutre mediocremente, non fa bene allo stomaco e all’intestino, fa venire la gotta, dolore ai reni, renella e calcoli”. Nel tardo Medioevo erano inoltre largamente usati i coagulanti vegetali, oggi pressoché scomparsi: fiori di cardo selvatico, lattice di fichi, zucca ed erba carlina. Infine un antico pregiudizio, che voleva il latte vaccino inferiore rispetto a quello di pecora, proprio nel Quattrocento comincia a essere inesorabilmente eroso: è lo stesso Platina a scrivere che “due sono le varietà di formaggio che si contendono il primato: il marzolino, come lo chiamano i toscani, che si fa in Toscana nel mese di marzo; e il Parmigiano delle regioni cisalpine, che si può chiamare anche maggengo dal mese di maggio”.
Già: il Parmigiano, prodotto nelle grancie – ovvero le aziende agricole – legate ai monasteri del parmense e del reggiano, la cui produzione e commercializzazione è attestata fin dagli inizi del Trecento. Insieme al Piacentino e al Lodigiano era allora tra i formaggi da grattugiare più usati, esportato anche all’estero e citato persino nei testi letterari: come la bellissima novella del Boccaccio in cui Frate Cipolla – furbo frate spacciatore di reliquie fasulle – parla ai fedeli di Certaldo di un favoloso paese di Bengodi nel quale esisteva “una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che fare maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi”. L’uso del formaggio grattugiato per condire qualsiasi tipo di pasta è attestato a partire dal Trecento e continuerà a essere presente, oltre che nella realtà quotidiana, nelle cronache, nella letteratura, nei ricettari e nei trattati sulla cucina per secoli, arrivando fino a noi senza essere soppiantato neppure dal pomodoro!
Il basso Medioevo, infine, vede fiorire un po' ovunque, in Europa, formaggi che sono arrivati fino a noi: in Italia – oltre al Parmigiano – il Taleggio, il Caciocavallo (citato in una novella del Sacchetti) e il Gorgonzola; il Port-Salut, il Maroilles, il Roquefort e il Brie in Francia; l’Emmenthal, il Gruyére e l’Appenzeller in Svizzera; il Gouda in Olanda; il Cheddar e il Chester in Inghilterra.
Nadia Butini
Bibliografia
B.Platina, “Il piacere onesto e la buona salute”, a cura di E.Faccioli, Torino, 1985
Maestro Martino, “Libro de arte coquinaria”, Guido Tommasi ed., 2002
Approfondimenti web
Una trascrizione odierna del “Libro de arte coquinaria”di Maestro Martino (pdf, 463kb), è scaricabile qui