Nelle campagne olandesi, durante il Seicento, furono introdotte nel sistema di conduzione delle aziende agricole radicali innovazioni volte a produrre, rispetto alle necessità e ai bisogni di approvvigionamento locale, un surplus da capitalizzare e quindi da reinvestire; furono gli inizi della rivoluzione agraria, premessa necessaria a quella industriale che dagli ultimi decenni del Settecento si svilupperà in Inghilterra, caratterizzando da allora in poi la civiltà occidentale rispetto al resto del globo.
I progressi compiuti fin dal Cinquecento dagli studi di agronomia portarono a concepire un’azienda modello di dimensioni assai superiori a quelle proprie di una condotta da una pur agiata famiglia contadina, che accanto all’arativo prevedeva notevoli estensioni di prati artificiali (seminati con varietà di leguminose o di crucifere adatte come foraggi – di basso costo e ad alti rendimenti -, sui quali far pascolare un gran numero di capi di bestiame, specie bovini), nonché l’impiego di un elevato numero di salariati, sganciati dall’economia di villaggio in parte ancora basata sui “campi aperti”. Innovazioni che alla lunga avranno conseguenze rilevanti sulla dieta di buona parte degli europei, grazie alla sempre maggiore disponibilità di carni bovine e di latte.
Si diceva dei grandi progressi compiuti dagli studi di agronomia e testimonianza di essi è di certo il “Teatro dell’agricoltura” (pubblicato nella sua edizione definitiva a Parigi nel 1600), di Olivier de Serres, proprietario terriero e agronomo francese, ugonotto, che tra l’altro curò per il re di Francia Enrico IV la riorganizzazione dell’allevamento del baco da seta. Il suo “Théâtre” è un vero e proprio trattato di agronomia, che nasce anche dalle esperienze fatte nella sua tenuta di Pradel,nell’Ardèche, una proprietà di 150 ettari dove introdusse e sperimentò, fra l’altro, la coltura di molte delle nuove piante venute dalle Americhe: le patate, i pomodori, la canna da zucchero; anche se delle piante di pomodoro scriveva che i loro frutti non erano buoni da mangiare, ma utili in medicina. E, naturalmente, non poteva mancare nella sua opera un’ampia trattazione sui formaggi, francesi prima di tutto, ma anche italiani, olandesi e svizzeri, molti dei quali tuttora prodotti, di cui vengono descritte le caratteristiche e le diverse modalità di produzione.
Il progresso nelle conoscenze – che la “nuova scienza” di Galilei, Cartesio e Newton promosse nel Seicento – conobbe un’ulteriore accelerazione nel Settecento, il secolo dei lumi, durante il quale scienziati e ricercatori si preoccuparono anche di divulgare il più possibile le conoscenze acquisite in ogni campo. In questo clima culturale prese il via la grande e lunga (1751-1772) – nonché irta di difficoltà per i ripetuti interventi censori del sovrano Luigi XV – avventura dell’”Enciclopedia” ("Encyclopédie" il titolo originale): nella fatica di Denis Diderot e Jean-Baptiste D’Alembert accanto alle conoscenze teoriche ha un posto di rilievo la tecnologia e quindi le applicazioni pratiche delle scoperte scientifiche, con le loro ricadute sul quotidiano.
Famose sono infatti le tavole che accompagnano il testo dell’ “Enciclopedia”, che riproducono con grande cura gli strumenti usati nei diversi mestieri e nelle varie attività produttive, senza escludere naturalmente una – così rilevante nel settore alimentare – come quella casearia, alla quale sono dedicate numerose tavole, che illustrano con disegni molto curati nei particolari gli strumenti e le attrezzature allora usati nei caseifici. Non manca neppure una trattazione degli aspetti dietetici legati al consumo di cacio, né la descrizione di formaggi ancora esistenti, come il Groviera o il Gerardmer. Annotiamo infine con soddisfazione che anche gli enciclopedisti sono da annoverare tra i fan del nostro Parmigiano.
Nadia Butini
Bibliografia
Antonio Saltini, Storia delle scienze agrarie, 4 voll., Bologna 1984-89
Approfondimenti web
Vita e opera di Olivier de Serres
La fortuna editoriale dell'Encyclopédie nei secolo XVIII e XIX