Dove e quando gli uomini – da millenni cacciatori e raccoglitori – cominciarono a praticare pastorizia e allevamento, cambiando radicalmente il proprio sistema di vita, e avviandosi a coltivare le piante, che fino ad allora avevano sempre e soltanto raccolto? È questo uno snodo essenziale nella storia, o meglio nella preistoria dell’umanità, tanto essenziale da aver meritato la definizione di “rivoluzione neolitica” (introdotta negli Anni Venti del '900 dall’archeologo australiano Vere Gordon Childe), collocabile tra i 10.000 e gli 8.000 anni a.C..
Il secolare accanimento scientifico dei ricercatori, sostenuto dalla metà del secolo scorso con strumenti d’indagine sino ad allora impensabili, ha condotto a risultati che ci permettono di sapere con certezza quando e dove gli uomini iniziarono a dedicarsi all’allevamento e all’agricoltura, per poi dar vita ai primi insediamenti stabili che diventeranno in seguito città, regni e imperi, portandoci quindi nella storia.
La parte meridionale dell’attuale Turchia, la valle dell’Eufrate e i monti Zagros (che dall’acrocoro armeno scendono verso l’Iran e l’Iraq), è il cuore della “mezzaluna fertile” (fertile crescent): qui i segni del cambiamento lasciati migliaia e migliaia di anni fa sono stati analizzati, letti e interpretati da archeologi, zoologi, botanici, genetisti e antropologi, le cui conclusioni sono efficacemente riassunte da Jared Diamond del Dipartimento di Fisiologia dell’Università di Los Angeles. «La Mezzaluna fertile», racconta il ricercatore, «è il luogo in cui la domesticazione è stata più precoce, producendo quelle che ancora oggi sono le specie domestiche più importanti tra le piante e gli animali del mondo»; ma le considerazioni di Diamond sulle conseguenze di quel mutamento non sono del tutto positive: «se quei primi coltivatori ne avessero previsto tutti gli effetti», prosegue lo studioso, «certamente avrebbero messo al bando le prime fasi della domesticazione, perché la ricerca archeologica ed etnografica mostra nel mondo intero che la transizione da raccoglitori-cacciatori ad agricoltori-pastori ha provocato più lavoro, un’altezza ridotta dell’adulto, uno stato nutrizionale carente e una minore resistenza alle malattie». Ma tant’è: il nuovo modello di vita si impose e in seguito si diffuse, in Africa come in Europa, nel resto dell’Asia e nelle Americhe.
Su un altro punto gli studiosi sono poi tutti d’accordo: la prima specie ad essere stata addomesticata fu quella caprina, a cui seguirono, nell'ordine, quelle ovina, suina e bovina. E a proposito di capre, è inevitabile almeno un cenno alla ricerca condotta da Melinda Zeder, curatrice della sezione di Zooarcheologia presso il Museo di Storia Naturale “Smithsonian” di Washington, e dall’antropologo Brian Hesse, dell’Università di Birmingham, Alabama; ricerca pubblicata sulla rivista “Science” nel marzo del 2000 e ripresa in Italia da un articolo del quotidiano “La Stampa” solo il 23 luglio del 2003. Dopo aver esaminato con le tecniche e con gli strumenti più aggiornati intere casse di ossi di capra provenienti dai siti archeologici di Ganj Dareh e di Ali Kosh (monti Zagros, Iran), dopo averli datati accuratamente, dopo averli analizzati minuziosamente per stabilire età e sesso degli animali, i due ricercatori sono giunti a queste conclusioni: lì, a Ganj Dareh, 10mila anni fa gli uomini cominciarono ad allevare capre e più tardi, spostandosi verso le pianure mesopotamiche (reperti provenienti dal sito di Ali Kosh), iniziarono a praticare la tecnica dell’incrocio per migliorare la produttività delle greggi; gli ossi esaminati, infatti, erano nella stragrande maggioranza attribuibili a maschi giovani e a capre adulte, secondo una prassi di macellazione tipica dell’allevatore, che tende a tenersi più a lungo le femmine riproduttrici.
Ma non è tutto: secondo Zeder ed Hesse, le artefici di questo mutamento epocale sarebbero state le donne, che avrebbero accolto le capre nelle capanne o nelle grotte per averne compagnia, calore e latte per tutti. In seguito, probabilmente, sarebbero stati gli uomini – aiutati dai cani che da millenni li accompagnavano nella caccia – a raccoglierle in greggi.
La “rivoluzione neolitica”, iniziata probabilmente con un gesto di affettività da parte di un gruppo di donne intraprendenti, avrà conseguenze inimmaginabili allora, tra le montagne impervie dell’Iran: consentendo all’uomo di vivere non più del cibo cacciato o raccolto, ma anche e soprattutto di quello prodotto. Per avere un cambiamento di pari portata sul piano sociale, economico e culturale, dovremo attendere un’altra rivoluzione, quella industriale di fine '700; con essa inizierà il mondo contemporaneo, da allora diviso in Occidente e Oriente sulla base di un unico criterio: il nuovo sistema di produzione introdotto in Inghilterra e che da lì si diffuse poi rapidamente in tutto l’Occidente.
Il formaggio, frutto della rivoluzione neolitica, e che per millenni era stato prodotto con gli stessi ingredienti e con (all'incirca) le stesse modalità passando indenne attraverso tutte le trasformazioni che segnarono la storia, si troverà a subire un mutamento radicale: da prodotto artigianale rivolto alle miriadi di mercati locali a prodotto industriale, indirizzato oggi, verso il mercato globale. Nonostante questo, tante realtà casearie hanno saputo resistere agli assalti e alla concorrenza industriale, arrivando a noi indenni e portando sulle nostre tavole gli aromi e i gusti di tradizioni millenarie. Tocca a noi oggi il compito di mantenerle vive, di recuperarle laddove possibile, nel rispetto delle nostre lontane radici, certo, per amore dell’autenticità e della tipicità, ma anche per squisita e peccaminosa gourmandise e – non ultimo – per nutrirci assai meglio.
Nadia Butini
Bibliografia
V. Gordon Childe, “Preistoria della società europea”, Sansoni, Firenze, 1979
M. Vegetti, “Dalla rivoluzione agricola a Roma”, Zanichelli, Bologna, 1993
Ida Molinari, "Importante svolta nella vita sociale scoperta in un sito zooarcheologico fra l'Iran e l'Iraq", La Stampa, Torino, 23 luglio 2003
Approfondimenti web
Smithsonian National Museum of Natural History (engl):
Melinda Zeder, sulla domesticazione degli animali (engl):