Erano pastori e casari i libici di 7mila anni fa

Scene con bovini dagli affreschi di Wadi Imha, Tradart Acacus - fonte Savino di Lernia - Università degli Studi di Roma Di certo non si tratta né del latte "più antico" del mondo né del primo formaggio che l'uomo abbia prodotto sulla faccia del pianeta, ma nonostante questo la scoperta, oltre a riempirci d'orgoglio perché fatta da un'equipe di ricercatori italiani, porta in sé un'infinità di significati e di informazioni. Quel che colpisce di più è che la più antica testimonianza tangibile della trasformazione casearia sia legata ad un'area (il sito neolitico di Takarkori, nella Libia sud-occidentale) ora desertica. Quindi un territorio che conosciamo e che i più pensano come sahariano da sempre, 5mila anni fa era in grado di garantire agli animali un pascolo adeguato al loro nutrimento, e una buona disponibilità idrica. Situazione ideale per allevare animali da reddito, ma anche per l'insediamento di una florida comunità pastorale.

Di questa ricerca è opportuno sottolineare che non si è trattato di una scoperta dovuta al caso (spesso scavando per un qualcosa se ne scopre un'altra, imprevista) ma che i ricercatori – Stefano Biagetti e Savino di Lernia dell'Università di Roma, in collaborazione con i colleghi Julie Dunne e Richard Evershed dell'Università di Bristol – da anni stavano lavorando su alcuni reperti ceramici datati tra il 4.000 e il 5.200 a.C. In sostanza, le analisi chimiche e isotopiche condotte sui frammenti di ceramica ritrovati nel sito archeologico hanno portato all'individuazione di residui di grassi di origine animale, senza dubbio del latte, tal quale o trasformato. Grazie a questo lavoro è possibile quindi – e finalmente – assegnare una data certa in cui contestualizzare l'inizio del consumo del latte e di alcuni dei suoi derivati in  quell'area.

 

Alcuni dei reperti ceramici di Wadi Imha, Tradart Acacus - fonte Savino di Lernia - Università degli Studi di Roma L'evidenza inequivocabile dell'utilizzo del latte e della sua trasformazione attraverso cottura in molti contenitori ceramici (circa il 30% di quelli rinvenuti) "datati" proprio 5.200 a.C., indica un inizio assai precoce dell'allevamento bovino nel Sahara centrale, assai più anticipato rispetto a quel che si era sinora ipotizzato, e spiega come il latte, grazie alla trasformazione in burro, yogurt e formaggio, potesse essere consumato e di qui non si esclude che si possano sviluppare ricerche ulteriori, la prima fra tutte attorno all'intolleranza al lattosio.

Scene con bovini dagli affreschi di Wadi Imha, Tradart Acacus - fonte Savino di Lernia - Università degli Studi di Roma

Queste nuove conoscenze risultano oltremodo utili ora che grazie ad esse assumono ben altro peso le rilevanze già acquisite da tempo, relative all'arte rupestre sahariana (eccezionali ma mai datati con esattezza i graffiti e le pitture parietali del Tadrart Acacus, scoperti nel 1985 e divenuti poi patrimonio mondiale dell'Unesco), che include scene di mungitura. Nonostante la formidabile importanza attribuita a tori e vacche che lega culture antiche e moderne, non esistevano indicazioni dirette sulle origini di queste pratiche né se ne palesavano i meccanismi evolutivi.

 

La scoperta è stata pubblicata l'altroieri sull'ultimo numero di "Nature" e testimonia l'elevato sviluppo sociale ed economico raggiunto dai pastori del Neolitico medio nel Sahara centrale. Lo studio avrebbe portato a scoprire che già allora oltre che a consumarlo tal quale, il latte delle bovine veniva trasformato in yogurt, in formaggio e in burro.

 

Altre ricerche fanno risalire la domesticazione originaria e il consumo e la lavorazione del latte (all'inizio pare esclusivamente caprino) alla cosiddetta "mezzaluna fertile", nell'attuale Anatolia. Lì sarebbe stato trasformato per la prima volta in formaggi, yogurt e burro. Con buona pace di chi pensi che quest'ultimo sia un prodotto tipicamente "nordico": lo sarà anche, oggi, ma con radici molto molto più a sud.

 

23 giugno 2012

 

Per lo studio completo (in lingua inglese) clicca qui