
La Milano da bere, quella che già quarant’anni fa apprezzava un “sano Cynar”, magari nel traffico cittadino – ma contro la frenesia della vita moderna – saprà di certo apprezzare un “sano formaggio salutistico” se qualcuno deciderà di servirglielo possibilmente in città o ancora meglio sotto casa. È così che, a partire dai giorni scorsi, presso la Cascina Cuccagna, e già anche in altri ambiti territoriali (in alcuni mercatini di Campagna Amica e ieri all’inaugurazione del Mercato Agricolo Pomeridiano, presso il Consorzio Agrario di via Ripamonti) i consumatori milanesi che cercano qualità e salubrità alimentare saranno accontentati. O almeno penseranno di esserlo.
Come se i formaggi prodotti sulle Alpi e le Prealpi lombarde, quelli da animali al pascolo non fossero altrettanto o ancor più validi. Ma si sa, informarsi costa fatica, e ancor più muoversi per degli acquisti intelligenti. Più facile allora aspettare la soluzione al mercatino di quartiere, meglio poi se targata “a km zero” (sob).
“Il formaggio di capra”, hanno spiegato ai giornalisti i fautori dell’iniziativa, “è un prodotto molto versatile e di alta qualità, soprattutto se utilizza latte del territorio e meglio ancora se munto e lavorato all’interno della medesima azienda, in modo da ridurre il trasporto e qualsiasi passaggio intermedio, azzerando anche il rischio che per questi formaggi vengano usati latte o cagliate che arrivano dall’estero”. Vero, in gran parte vero, certo, ma quel che conta – e non potrebbe che essere così – è ciò che gli animali da latte mangiano. Infatti, si fa un gran parlare dell’apporto del lino (semi di lino estruso) come fonte di prezioso Cla (acido linoleico coniugato) e si trascura troppo spesso che la prima fonte di questo e di altri nutrienti preziosi è semplicemente l’erba, o meglio l’erba polifita, di pascoli seminativi (ottenuti con opportune miscele quantomeno di quattro varietà scelte in genere tra festuca, loietto, trifoglio, erba marzolina, erba medica) o meglio spontanei (tendenzialmente tanto migliori quanto più ricchi in varietà, con i dovuti distinguo in base alle molte variabili esistenti: altitudine, esposizione, terreni, esclusione di erbe nocive, etc.).
E quindi accade così che, mentre la stampa sarda si lancia in una sterile quanto grottesca difesa di un ipotetico primato (leggi qui), altrove (in Toscana) chi produce dal 2009 secondo la migliore applicazione possibile degli studi condotti in collaborazione con l’Università di Pisa, è trattato alla stregua di un visionario.
Purtroppo oggi si deve assistere alla sin troppo spavalda difesa di un’industria che pur essendo seguita e sostenuta dall’Università di Cagliari e dall’Azienda Ospedaliera Brotzu (sempre del capoluogo sardo) non potrà mai risolvere i limiti naturali di una produzione industriale: in cui il latte deve essere raccolto da vari allevatori, unito l’uno all’altro, refrigerato, trasportato lungo chilometri e ore di viaggio, e infine mortificato dalla pastorizzazione. Inoltre, a differenza del pastore, che quando il pascolo è secco smette di fare il formaggio, l’industria si ritroverà forzata dalla Gdo a garantire il prodotto tutto l’anno, a discapito dell’alimentazione del bestiame (che diventa allora poco rispettosa della fisiologia del ruminante, e per quello ancor meno digeribile) e della salute dello stesso.
E allora, quali formaggi preferire?
Inutile girare attorno a questa vicenda e trascurare il nòcciolo della questione: il miglior formaggio dal punto di vista nutrizionale è quello di ogni pastore che conduca al pascolo i propri animali da latte, e che trasformi tempestivamente (evitando inutili escursioni termiche) la materia prima in formaggio. Un formaggio che naturalmente conterrà nutrienti nobili in quantità, dal Cla agli Omega3, dal betacarotene, alla vitamina E. Bene, se quel pastore saprà gestire al meglio l’apporto di un’integrazione naturale a base di semi di lino estruso (senza eccedere, ma adeguando nei limiti del possibile e senza nuocere alle bestie, la quota di integrazione in funzione dell’alimentazione di base), allora la sua produzione riuscirà a raggiungere i livelli ideali di nutrienti nobili (la razione alimentare dev’essere calcolata sul contenuto proteico di ogni singolo alimento ingerito dall’animale).
Ecco, quello che ci sarebbe piaciuto, e che risulta ad oggi di là dall’avvenire, è che il mondo scientifico avesse dato un supporto diffuso al mondo pastorale – magari attraverso la mediazione di dottori agronomi opportunamente formati – per portare il maggior numero di produttori rurali nella condizione di migliorare le loro pur ottime produzioni.
Purtroppo e ancora una volta il bene di molti viene assoggettato all’interesse di pochi; purtroppo e ancora una volta ciò che poteva e doveva essere gestito in modo che si evitassero speculazioni è ora lasciato alle iniziative di chi, già da oggi, invero pochi (in special modo mangimisti) ma chissà quanti domani (verosimilmente in molti) si presenteranno agli allevatori proponendo la “ricetta miracolosa” senza poter offrire di fatto la soluzione adeguata ad ogni caso specifico.
In finale, quindi, tanto rumore per nulla? Tutt’altro: da oggi i consumatori consapevoli hanno un motivo in più per preferire i formaggi dei pastori e dei malghesi.
16 febbraio 2013