Il disciplinare parla chiaro: il formaggio va caseificato – a caldo – utilizzando latte crudo. Vale a dire che va fatto sul posto, appena munta l'ultima pecora. Eppure anche l'industria lo fa (o lo farebbe), ma non si sa come. Accantonando per qualche momento questo aspetto che caratterizza la duplice natura del Fiore Sardo Dop, il piacere di reincontrare questo prodotto nella sua massima espressione – quella pastorale – ci è stato dato dal concorso svoltosi il 4 maggio a Gavoi (presso lo Snack Bar Kursal), in provincia di Nuoro, sotto il vigile controllo dei giurati Michele Arbau, Andrea Pira, Piera Podda, Giuseppe Sedda e Pier Gavino Sedda.
Tra i tredici produttori in gara (si giudicava la tipologia "da tavola", con stagionatura di almeno tre mesi) l'ha spuntata Silvio Vacca, seguito da Francesco Bussu e Simone Cualbu. In attesa del prossimo appuntamento, fissato per il mese di ottobre e dedicato al Fiore Sardo stagionato (oltre i sei mesi), rimane tra questi produttori il clima surreale che si respira nel campo di una contesa che non dovrebbe neanche esistere, tra mondo pastorale e industria (le due realtà hanno prodotti non paragonabili, nonostante portino il medesimo nome); surreale perché il Consorzio, che proprio a Gavoi ha la sede, dal mese di aprile ha perduto la tutela sul prodotto.
Come ben raccontato dall'Unione Sarda (qui l'articolo, rilanciato dal sito web de La Base) nelle scorse settimane, l'ente di tutela aveva perduto, già nel 2011, le condizioni minime per operare. Era accaduto dopo che gli stessi produttori industriali avevano deciso la fuoriuscita in massa dal consorzio: una scelta che oggi, a ben guardare, si potrebbe ritorcere loro contro. Bene, è così accaduto che, alla prima revisione periodica, operata nelle scorse settimane dal Ministero delle Politiche Agricole, sono risultate essere venute meno le condizioni per poter legittimare ancora l'ente nelle funzioni assegnate (la legge prevede che in un consorzio l'ammontare produttivo dei soci aderenti deve essere pari ad almeno il 66% del prodotto totale, e nel caso del Fiore Sardo dei pastori si aggira sì e no attorno al 40%).
La situazione ha così preso una piega che ha dell'assurdo, con i controlli passati ora all'Agris (Agenzia regionale per la Ricerca in Agricoltura) che, come è stato per il consorzio in passato, ha pochissime risorse per operare efficacemente. La soluzione della vicenda sarebbe ora appesa al filo di prove e controprove, vale a dire alle analisi di laboratorio che dovrebbero mettere le industrie con le spalle al muro: "come possono lavorare a crudo", si chiedono da anni i pastori "i latti di più allevatori, trasportati refrigerati e miscelati tra loro, e convergenti da varie zone della Sardegna nei luoghi di trasformazione? Troppi passaggi, troppo tempo, refrigerare, riscaldare: impossibile produrre senza prima aver pastorizzato".
Una certezza per gente del mestiere. Un dubbio più che concreto per chiunque abbia anche solo delle cognizioni di base della trasformazione casearia. Ed allora sarà questione di mesi ormai, per vedere se attraverso questa sospensione dell'attività dell'ente e questa forzatura si riuscirà a superare un'annosa situazione che oltre a danneggiare i depositari legittimi di un prodotto di antichissime origini ha colpito per lunghi anni anche diverse migliaia di ignari consumatori, in Italia ed all'estero.
Ancora una volta, staremo a vedere cosa ci riserverà il futuro.
12 maggio 2014