I pastori di Beja: ”Il nostro formaggio trainerà il turismo”

La Sicilia del buon latte tende la mano ai Paesi dell'area Mediterranea – e più precisamente stavolta alla Tunisia – attraverso il progetto Hi.L.F.Trad Po Italia-Tunisia 2007-13, che ha compiuto il suo ciclo di attività a favore della comunità agro-zootecnica di Beja, attraverso l'organizzazione di un corso dedicato ai tecnici e agli allevatori di un'area, fortemente vocata alla pastorizia e alle produzioni lattiero-casearie. L'attività didattica, conclusasi il 14 scorso, è stata guidata da Rosario Petriglieri, ricercatore del CoRFiLaC di Ragusa (Consorzio Ricerca Filiera Lattiero-Casearia, capofila del progetto) e ha visto impegnati la collaboratrice del consorzio ragusano Rim Ben Younes, agronomo, e i tecnici Giuseppe Giurdanella e Marco Gulino del Gal Eloro.

Un gruppo di tecnici siciliani e di pastori di Beja- Si riconosce, primo a destra, Rosario PetriglieriIl progetto, che prende il nome di "Hilâl siculo-tunisino della Filiera Lattiero-Casearia Tradizionale attraverso nuove tecnologie", ha come responsabile Stefania Carpino, per conto del capofila CoRFiLaC, è cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Programme Européen de Voisinage (Ievp) Italia-Tunisia e si pone l’obiettivo principale di creare una rete di conoscenza tra il mondo della ricerca e gli attori del settore lattiero-caseario, al fine di ottenere uno scambio reciproco di conoscenze e tecnologie nell’area transfrontaliera interessata nel Programma Ievp Italia-Tunisia (clicca qui).

Ma la notizia nella notizia, è che l'arrivo dei tecnici italiani, il loro impegno, le loro conoscenze, sono giunte nel momento giusto e nel luogo giusto, all'interno di una realtà – una ventina di produttori di latte ovino riuniti in cooperativa – che da tempo lotta per resistere all'avanzata della globalizzazione, per mantenere vive le più autentiche produzioni tradizionali, tipiche del luogo.

«Come accade in gran parte del mondo», ci spiega Rosario Petriglieri, «le produzioni casearie sono additate di poter essere veicolo di pericolose malattie, al punto che i Governi e autorità sanitarie impongono l’impiego della pastorizzazione. Questo porta, inevitabilmente, verso l’omologazione delle produzioni, la mancanza di differenziazione tra produzioni artigianali e industriali, e di riflesso, un predominio dell’industria e una sempre minore presenza di produzioni tradizionali».

Anche in Tunisia, purtroppo, vige da tempo un simile andazzo, ma qui a Beja si gioca una disputa di grande rilevanza, perché i produttori non vogliono chinare il capo, determinati come sono ad affermare la loro identità produttiva. Venti pastori, forti delle loro ragioni e dell'essersi riuniti in cooperativa (“La Fromagerie Artisanale de Beja”, presieduta da monsieur Zied Ben Youssef) qui si ostinano ad allevare la razza siculo-sarda (ottenuta tramite incroci operati dai loro padri), a mantenere gli allevamenti in armonia con il territorio, a nutrire gli animali solo con le loro essenze foraggere, senza ricorrere a concentrati, se non marginalmente e solo per brevi periodi.

«Hanno bisogno di apprendere», prosegue Petriglieri, «hanno voglia di capire e di migliorarsi, ma senza alterare la loro natura. Vogliono migliorare le loro produzioni casearie, hanno appreso dai loro genitori la tecnica di produzione di un formaggio pecorino che qui tutti chiamano “siciliano”, forse in onore di chi ha trasmesso loro questa tecnica produttiva. Inoltre producono ricotta e formaggi freschi».

«Sanno», prosegue il ricercatore del CoRFiLaC, «che la globalizzazione li potrebbe schiacciare. Potrebbero adagiarsi ad inseguire l’effimero di una ricchezza apparente, ma hanno una volontà di ferro, una fierezza di sentirsi "tunisini di Beja", una determinazione a mantenere le loro tradizioni. Noi siamo qui per permettergli di migliorarsi, ma se vogliamo la notizia è nella determinazione di questi produttori, che combattono silenziosamente la loro battaglia in nome della loro storia, della loro cultura, e che per questo meritano tutti gli onori».

Per il futuro il progetto dei pastori aderenti alla Fromagerie Artisanale de Beja prevede il miglioramento della  razza (giammai la sua sostituzione!), il miglioramento delle produzioni casearie e il miglioramento della qualità, sempre più orientata verso un ideale di biologico. Poi, la trasformazione “a vista” dei loro clienti, che sia parte integrante di un più ampio progetto di turismo ecosotenibile, in cui verranno attrezzati degli agriturismi. L'export non verrà neanche preso in considerazione: il prodotto resterà interamente sul territorio. Perché la gente di Beja è con loro: dal buon formaggio, dalla discreta ma calda accoglienza, dalla determinazione a vivere del loro savoir faire dipenderà il futuro di questa comunità in questo ridente e verde angolo di Tunisia.

Di una cosa infine si dice certo Petriglieri: «Averli incontrati, averli conosciuti, esserci confrontati con loro ha ridato carica alle nostre passioni».

23 febbraio 2015