Il “budino” dei pastori sardi entra nel novero dei Pat regionali

Sa Casada, da pochi giorni è entrata a far parte dei Pat della Regione Sardegna - foto Alessandra GuigoniSa casada ha da pochi giorni fatto il suo ingresso ufficiale tra i Pat, prodotti agroalimentari tradizionali registrati presso il Mipaaf, insieme ad altri 188 prodotti sardi (4.965 in tutta Italia); la notizia è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale martedì scorso, 21 giugno. Qualeformaggio ha il piacere di ospitare qui la sua presentazione, nelle parole dell'antropologa sarda Alessandra Guigoni, che ringraziamo per il prezioso contributo.

In realtà sa casada è un prodotto antico ancor più che tradizionale (per il Ministero bastano 25 anni di produzione per definire tale un alimento), e si produce sicuramente da molto tempo, probabilmente da quando si allevano le pecore e si caseifica con il loro latte, quindi da millenni.

Nella mia ricerca etnografica ho intervistato alcune anziane, mogli o figlie di pastori sardi, che ricordano di aver visto fare sa casada (o sa colostra, come si chiama in altre zone dell’Isola) dalle proprie nonne; tutti gli anziani pastori hanno memoria di questo “budino” antico.

Il colostro, da cui si ricava ''sa casada'' - foto Alessandra GuigoniEsistono alcune fonti scritte importanti, tra cui una testimonianza della prima metà dell’Ottocento, nel Dizionario geografico storico statistico commerciale redatto da Vittorio Angius per la Sardegna, e firmato da Goffredo Casalis, che dimostra la produzione della pietanza con il colostro sin da quell’epoca:
"Tra' pastori ogliastrini e sarrabesi v'hanno delle differenze nel vitto: quelli sogliono nutrirsi di soli latticini e carni, questi mangiano pane, e aggiungono la ricotta, il siero, il quagliato acido (casu ajedu) dopo le 24 ore che fu toccato dal quaglio, e sa casada, che è il primo latte del bestiame che si rapprende sopra il fuoco, e non è buono ad altro uso".

Il nome casada deriva dal latino caseus e si produce solo con il latte dei primi giorni di lattazione della pecora, perché dopo tale periodo esso non coagula più in cottura.

I pastori perciò lo mungono a parte, non solo per la preparazione della casada o “budino dei pastori”, ma per non avere troppo colostro nel latte residuo proprio per poter fare il formaggio pecorino. Il formaggio infatti assume un sapore troppo forte e il colostro non si presta bene alla caseificazione.

Nei primi giorni dopo il parto la pecora produce colostro in sovrabbondanza, che non viene tutto consumato dall’agnello e perciò in parte va munto per non provocare infiammazioni (es. mastite) alle mammelle della pecora.

Il picco della produzione della casada avviene in corrispondenza della nascita degli agnelli sardi, grossomodo tra novembre ed aprile, e in particolare a Natale e Pasqua.

Il colostro assolve a diverse funzioni importanti per l’agnello lattante: soddisfare le sue esigenze nutritive, trasmettere un’immunità passiva e provocare l’espulsione del meconio, attraverso la sua azione lassativa. Questo prodotto, rispetto al latte delle principali specie di animali domestici, contiene un’elevata concentrazione di proteine, soprattutto immunoglobuline, di lipidi, di minerali, mentre è scarsa la presenza di lattosio.

Il colostro è sempre stato considerato un latte ricco di elementi nutritivi per cui tradizionalmente il consumo veniva destinato principalmente ai bambini e agli anziani.

La casada un tempo si mangiava come merenda (il cosiddetto smurzu o murzu), oggi si consuma a fine pasto come dessert.

Era ed è abitudine regalare il colostro a parenti ed amici, perciò la casada è soprattutto una preparazione casalinga, in uso nelle famiglie agropastorali; al giorno d’oggi si prepara in casa si ottiene facendo scaldare a bagnomaria in un recipiente di acciaio inox il colostro dolcificato con zucchero e la buccia -tagliata a listarelle o a pezzi – di un limone.

Il colostro appena coagulato viene versato in stampi o in scodelle e consumato tiepido o freddo.

Ha la consistenza di un budino, color crema scarico, con note olfattive e gustative fini, sentori di latte fresco, note dolci dovute anche alla presenza di zucchero, accompagnate dal sapore fresco e aromatico caratteristico della buccia di limone.

Con il colostro si può preparare anche un formaggio adatto ad essere consumato fresco, possibilmente arrosto, dato il forte sapore, e dal siero si può ricavare una ricotta di colostro, ma il principale uso del colostro, il più gradito a detta delle persone che ho intervistato, è la casada.

Una delle aree isolane in cui viene maggiormente valorizzato è la zona a confine tra Trexenta e Sarrabus-Gerrei e in particolare il Comune di Sant’Andrea Frius, dove viene ancora consumato abbastanza frequentemente nelle comunità locali, durante il periodo dei parti ovini, e dove alcuni produttori lo vendono direttamente in azienda o nelle sagre e nei mercati locali.

Sant’Andrea Frius è un paese a vocazione agropastorale, sito a circa 35 km a nord di Cagliari, al confine tra Trexenta e Sarrabus-Gerrei appunto.

Ed è proprio a Sant’Andrea Frius che ha sede il minicaseificio che produce attualmente sa casada per la vendita nei mercati locali, Pab’è is Tellasa dove la casara Maria Atzeni, coadiuvata dal marito, gestisce una azienda familiare di allevamento di pecore e produzione di formaggi di qualità (tra cui una nota mozzarella ovina). Maria mi ha raccontato che i suoi clienti acquistano sa casada non solo come dessert o merenda per i bambini ma come pasto in ufficio a pranzo, perché è leggero e nutriente.

Naturalmente sa casada è un prodotto stagionale, inutile cercarlo ora in piena estate: quando ci saranno i primi parti, in autunno, ripartirà la produzione per la gioia del palato e per mantenere la memoria culturale di un prodotto davvero interessante.

Interessante anche perché in altre zone del mondo, dall’India ai paesi scandinavi, Svezia in primis, sino alla Turchia, esistono pietanze, solitamente dolci o speziate, ricavate appunto dal colostro vaccino o meno spesso caprino e ovino. Sa casada quindi è un prodotto che da un lato ha caratteri distintivi se non unici, legati alla cultura agropastorale sarda, ma d’altro canto ha molti ‘cugini’ sparsi per il mondo e questo a mio modesto parere, è un altro valore aggiunto di questo prodotto.

A novembre uscirà una pubblicazione della Oxford University Press, una enciclopedia mondiale sui Formaggi, naturalmente in inglese, nella quale ho scritto anche il lemma Colostrum. Sarà interessante, credo, leggere di quante culture agropastorali sparse per il mondo usino il colostro ovino o vaccino nell’alimentazione umana.

Chi è Alessandra Guigoni
Alessandra Guigoni (PhD Università di Siena, ex PostDoc Università di Cagliari) è antropologa culturale, blogger (etnografia.it), slow fooder e degustatrice dell’ONAF (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggio). Vive e lavora a Cagliari, dove tra le altre cose è docente dello IED (Istituto Europeo di Design).

27 giugno 2016