L’ultima fatica di Manuele Cecconello è finalmente sul mercato. Il film “Sentire l’aria”, in formato Dvd, accompagnato dal bel volume fotografico realizzato con le immagini di Andrea Taglier, è stato prodotto da Prospettiva Nevskij con la partecipazione della Camera di Commercio di Biella, a sostegno del progetto di valorizzazione delle lane autoctone del Piemonte.
Per quanto si tratti di un film “di nicchia”, grande è stato l’interesse che l’opera ha suscitato tanto tra gli addetti ai lavori quanto attraverso il web, conquistando via via un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo tra chi è attento alle tematiche ambientali, sociali e interessato alle culture montane e pastorali.
Un pubblico nutrito e partecipe sin dalla presentazione e dalla prima proiezione (il 12 novembre scorso presso la sede della la Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, con molta gente rimasta in piedi in una sala strapiena, ed altri ancora che non sono riusciti ad entrare per mancanza di spazio), a cui seguirà una proiezione speciale, a grande richiesta, il 4 dicembre, sempre nella “città della lana” (ore 21, Auditorium di Città Studi, ingresso libero).
Ma di cosa tratta “Sentire l’aria”? Qual è la sua storia, il suo messaggio? Lo raccontiamo con la collaborazione di Michele Corti, che ha recensito per noi il film:
“Sentire l’aria” non è un film “sulla pastorizia transumante”. È la storia di un ragazzo, Andrea, che a sedici anni abbandona la scuola per seguire il richiamo di una vocazione insopprimibile (il ragazzo già allevava per pura passione qualche pecora e altri animali). La storia di questo ragazzo ci permettere di vedere alcuni aspetti della transumanza senza i filtri della retorica che anche alcune opere recenti non hanno saputo evitare (quelle del genere “quassù gli ultimi”, per intenderci). E così, pur raccontando anche altre cose (sulla scuola, sui ragazzi, sul rapporto ambiguo tra montagna e pianura), Manuele Cecconello con “Sentire l’aria” ha realizzato un bel film “anche” sulla transumanza. Forse proprio perché in quest’opera non ci sono “fiumi di pecore”, non c’è un minuzioso catalogo etnografico delle pratiche pastorali vecchie e nuove, perché questa non è – per fortuna – una “testimonianza” pietistica dei problemi vecchi e nuovi della pastorizia.
La lana di Andrea
“Sentire l’aria” è un film-documentario di 110′ che risponde a una precisa ispirazione narrativa, ma che al tempo stesso, è mosso anche da finalità promozionali che non inficiano né il valore artistico né la “presa” dell’opera.
Realizzata con un finanziamento della Camera di Commercio di Biella, l’opera s’inserisce nelle azioni di “valorizzazione delle lane autoctone”, e anche nella sua parte finale, quando la lana del giovanissimo pastore assurge al ruolo di materia prima della filiera, il filo della “storia” non si spezza ma rimane integro e solido, confermando le doti di un autore che a dispetto della giobvane età conferma la stoffa talentuosa già rivelata con la precedente opera “Olga e il tempo”. In sostanza, qua, la storia della lana, tra manipolazioni industriali e materia d’alto artigianato, appare interessante e coinvolgente anche perché si tratta della “lana di Andrea”.
Il giovane pastore si reca in Francia, al Festival della lana, all’esposizione delle “Lane d’Europa” e accarezza i bioccoli della lana delle pecore biellesi. E non è una “messa in scena”. Rispecchia il fatto che il ragazzo si sente partecipe e consapevole, nonostante la giovanissima età, di essere protagonista (si potrebbe azzardare: “testimonial” se non fosse termine abusato) di un “modo nuovo di fare pastorizia”. Che implica un ruolo definito, riconosciuto nell’economia locale, nel mantenimento del territorio, nella riproduzione di valori materiali e simbolici in cui una comunità si rispecchia. E se la gente di Biella ha affollato la presentazione del film credo che sia contato anche questo fatto: la gran voglia di una città – anche di chi col tessile, e tantomeno con la pastorizia, non ha nulla a che fare – di ribadire una vocazione, un’identità che deriva anche da una certa collocazione geografica tra i monti e il piano, oltre che da una lunghissima storia di pecore e di lana.
L’autoriflessività semplice ma chiara e sincera di Andrea
Nelle interviste che intercalano i capitoli del film Andrea esprime chiaramente la volontà di essere un “pastore moderno”; con semplicità ma anche con convinzione. Può farlo perché i suoi due anni di “iniziazione” alla vita del transumante sono stati una scuola di vita “intensiva”, molto più stimolante della scuola. Certo dura, ma a un ragazzo di sedici anni che stravede per gli animali, per gli spazi aperti le fatiche fisiche non pesano. Le ore sotto la pioggia non lo immalinconiscono: è con le pecore, ha un lavoro impegnativo che richiede valutazioni ponderate, responsabilità, tante conoscenze. C’è spazio per pensare certo, ma non per fantasticare.
Andrea ha imparato a condurre un gregge, a medicare le ferite, a vendere gli agnelli, a gestire la “logistica” (non facile) della transumanza. Mentre la pedagogia delle mura scolastiche e dei banchi (non a caso oggetto di emblematiche riprese all’inizio e la fine del film) si è rivelata inefficacie, la “pedagogia della transumanza” ha fatto miracoli.
Le interviste con Andrea iniziano solo prima della discesa dall’alpeggio e della fatidica “divisione del gregge” tra lui e il suo mentore, lo “storico” pastore Niculìn. La serie delle interviste è scandita attraverso le fasi dell’inizio del “vagantivo” in pianura, dell’inverno e del successivo ritorno “in paradiso” (in alpeggio) l’anno successivo.
Il senso del tempo e del cielo
I capitoli iniziali del film aiutano a immergersi in una dimensione della pastorizia fuori dalle oleografie; una pastorizia che si muove con difficoltà nei malinconici “pori” verdi della pianura (preziosi per le pecore comunque). Si tratta di una pianura costellata di segni dell’archeologia industriale, di elettrodotti, di miseri filari di robinia, dove il segno dominante della “società dei servizi” sono i grandi centri commerciali. Alpeggio e pianura sono due termini complementari ma mentre una montagna sempre più abbandonata diventa il “regno incontrastato del pastore” la pianura – sempre là sullo sfondo – rappresenta una necessità, un qualcosa di inevitabile ma molto problematico. Nei primi capitoli del film ci sono scene che possono apparire di lunghezza interminabile per gli spettatori schiavi dei “ritmi frenetici” (della vita come dei film). Così come all’inizio della storia Niculìn è ripreso per lunghi minuti immobile sotto la pioggia come una statua, appoggiato al lungo bastone-puntello.
Ci sono anche le scene che potrebbero apparire un indulgere onirico sulle nuvole, la nebbia, l’oscurità, i giochi di luce. Però non c’è la ricerca della fotografia “pittorica” che rischia di sovrapporsi al ritmo narrativo. Il ritmo è volutamente lento ed è quello dei silenzi vissuti dai pastori, del lavoro che si protrae quando è buio, dei pasti frugali al lume della lampada a gas o di una candela. Il cielo sopra la testa e le nuvole ci impongono di pensare alle nostre vite che scorrono senza neppure vedere il cielo come se tutto quello che succede nell’aria e nel cielo, gli effetti serra, i buchi dell’ozono, le perturbazioni sempre più violente indotte dal cambiamento climatico non si ripercuotesse sulla nostra vita (come sbagliamo!) L’impressione è di una narrazione sobria, senza sbavature. Lentezza, tempi e silenzi (in definitiva abbastanza limitati) indispensabili, funzionali.
La saggezza di un diciassettenne
Anche se, come premesso, non c’è il “catalogo” delle mansioni del pastore, quando Andrea – ora diciassettenne – parla le sue parole acquistano significato grazie a quello spaccato di vita di un pastore transumante che abbiamo potuto cogliere nelle scene della prima parte del film. Andrea che parla come un pastore saggio, pacato ma sicuro del fatto suo sul modo di far “girare” le pecore diventa così credibile. Abbiamo visto i suoi gesti, le sue mani, sentito la sua voce al lavoro prima che essa dia fiato ai discorsi su di sé e sulla sua realtà.
Lascia il Niculìn presto, ma solo quando si sente pronto ad assumersi la responsabilità di condurre un gregge tra gli alpeggi e la Riserva naturale delle Baragge, passando inevitabilmente nella giungla d’asfalto con le pecore che brucano negli spartitraffico delle immense rotonde dei “centri commerciali”. Responsabilità non da poco far sfilare incolumi pecore, asini, cani in mezzo al traffico. Ma questo è solo il lato più spettacolare delle difficoltà del “vagantivo”: ci sono i divieti, le aree inquinate, i confini immateriali ma ferrei tra le aree di influenza dei pastori. Andrea diventa grande in fretta nella società dei “bamboccioni”. Vediamo questo ragazzo che lavora con calma (per esempio quando prepara un numero impressionante di piccoli cumuli di fieno sulla neve) che “fa le unghie” alle pecore con calma e sicurezza, che comanda con competenza i cani.
Andrea è un ragazzo del suo tempo, che sfreccia in scooter, ma che pensa anche che occuparsi di pecore, di montagne, di carne e di lana non sia una cosa nostalgica da “alternativi” (è troppo giovane per avere certe inclinazioni). Pensa che sia una scelta non certo comune ma “normale”. Forse ciò ci aiuta a capire che, invece, non è “normale” la cementificazione disordinata della pianura, l’abbandono degli alpeggi, la lana che assume valore economico “negativo”. In un mondo che vuole recuperare la “normalità” (prima che sia troppo tardi) ridare significato alla pastorizia diventa utile, necessario, “normale”.
Non c’è tempo per la gloria
Ma il film farà bene ad Andrea e ai suoi colleghi? Loro pensano di sì e noi siamo d’accordo con loro. Indurrà a riflettere un po’ di più quando s’incrocia il gregge sulle strade, e forse servirà anche a far rientrare maggiormente dopo secoli i pastori in un circuito economico non più “marginale”, in forza della pluriutilità della loro attività fatta di servizi ecologici, prodotti, valori simbolici. Intanto possiamo constatare che Andrea non si è certo montato la testa. Il giovanotto delle ultime scene del film nella sala della proiezione è tornato un ragazzo un po’ intimorito da tanti riconoscimenti. E il giorno dopo Marzia Verona l’ha immortalato in piena azione, alla testa della sua truppa di capre, pecore e asini alle prese con il traffico della città. Auguri Andrea.
Qui il link al sito di Sentire l’aria, attraverso cui è possibile richiedere il Dvd e il libro fotografico: http://www.sentirelaria.it/
25 novembre 2010