Il futuro delle razze autoctone, tra carne in provetta e demagogia

foto associazione R.a.r.e.®È recente la notizia  della creazione del primo hamburger di manzo artificiale. A partire dalla coltivazione di cellule staminali di bovino, Mark Post, scienziato dell’Università olandese di Maastricht, grazie al finanziamento del cofondatore di Google, l’imprenditore miliardario Sergey Brin, ha dato vita al primo hamburger bio-tech. Una notizia che ha dell’incredibile e ha tutte le carte in regola per scatenare le ire di chi crede ancora che la carne sia quella “cosa” che si ottiene dall’allevamento delle specie ad interesse zootecnico. 

Ma quanta fatica sprecata in questi anni ad insegnare alle giovani generazioni che il latte si ottiene dalla mungitura degli animali e non dal banco frigo del supermercato. Sì perché, è bene dirlo, in poche occasioni si insegna invece che la carne che si mangia è ottenuta dalla macellazione degli animali da fattoria. Per un certo verso, comunque, ora potremo dire "tutto tempo perso". 

Battute a parte, una cosa positiva c’è, e la possiamo solo capire dall’attenta lettura delle motivazioni che hanno spinto lo scienziato (già ribattezzato papà frankenburger) e l’imprenditore filantropo, a impegnarsi in questa avventura.

Elencandole, possiamo meglio apprezzarle: la carne prodotta in laboratorio evita sofferenza agli animali rinchiusi negli allevamenti; l’hamburger sintetico è una forma di protezione dei diritti degli animali perché la gente crede che la produzione moderna di carne sia ottenuta in allevamenti immacolati, ma non è così; è “carne” più ecologica perché riduce l’uso della terra, dell’acqua e dell’energia, fonti che potrebbero essere impiegate in maniera più efficiente; la carne prodotta in laboratorio potrebbe contribuire al soddisfacimento del possibile incremento del suo consumo senza veder aumentato l’inquinamento ambientale per maggior produzione di metano, anidride carbonica e azoto da parte degli allevamenti industriali; ci sganciamo dall’inefficienza delle produzioni animali: 100 gr di proteine vegetali producono solo 15 gr di proteine animali; scelta più sostenibile, più umana, in grado di risolvere la fame del mondo, ecc. ecc. In poche parole, una vera e propria rivoluzione nel modo di alimentare la popolazione mondiale.

 

Sante parole, del tutto condivisibili, tanto che l’associazione Peta (People for the Ethical Treatment of Animals) ha ben accolto l’esito di questo progetto: la carne è stata gustata da assaggiatori volontari senza il ben che minimo spargimento di sangue.

Ognuno a questo punto è libero di porsi nell’intima condizione etica di quale significato debba avere il rifiuto o meno di una dieta a base di carne. È comunque sicuro che per volontà o forza, chi produce carne, anche con razze a rischio di estinzione, per poter stare sul mercato, dovrà confrontarsi con la nuova etica del benessere animale che già da qualche anno, anche in sede Europea, si sta facendo sentire.

 

Non è però solo questo lo spunto che si può trarre da questa scoperta, ma si deve andare oltre. Tutto questo ci da modo di comprendere a fondo quanto siano invece importanti le nostre razze zootecniche locali (per me le capre), e quanto sia ancora più importante la loro salvaguardia all’interno del sistema pastorale tradizionale di allevamento. L’ìncipit, lo sappiamo benissimo, per il futuro ormai sarà: alimentare e salvare il pianeta. Giustissimo! Di questo incipit anche il prossimo Expo 2015 a Milano ne ha fatto il proprio motto: nutrire il pianeta – energia per la vita.

 

Allora ha poco senso, nelle razze locali, sforzarsi di selezionarle geneticamente all’aumento della produzione di latte o di carne, credendo in questo modo di salvare chi le alleva non attraverso l’economia rurale ma tramite quella industriale, e preservare l’agro-biodiversità attraverso il successo economico-industriale delle razze locali, ma perdendo per strada, con la selezione, pezzetti preziosi di originalità e di variabilità genetica.

 

di Luigi Andrea Brambilla

continua a leggere sul sito di R.a.r.e. (associazione Razze Autoctone a Rischio di Estinzione) l'articolo "Per poter emergere, la tradizione, dovrà imparare dall'innovazione"