21 giugno 2008 – Le azioni a favore della conservazione delle razze a volte danno l’impressione di essere come un lavoro di Sisifo: si fa e si disfa. Pensiamo che le razze locali siano minacciate solo dall’introduzione delle razze “cosmopolite”, più produttive e che ad agire contro il patrimonio della biodiversità agricola animale siano solo le forze del produttivismo, dell’agroindustria, di coloro che per interessi economici “spingono” gli animali “selezionati”.
A volte, però, bisogna riconoscere che siamo noi: gli entusiasti propugnatori delle razze locali e gli altrettanto entusiasti allevatori (più o meno consapevolmente “custodi”) a metterle, per paradosso, in pericolo. Pubblicizzare le razze locali, attirare l’attenzione di allevatori professionali o hobbisti su di loro rappresenta un arma a doppio taglio. Un esempio per tutti: che significato ha – e cosa comporta – che, mossi dall’interesse per caratteri esteriori, vi siano allevatori siciliani che acquistano capre di razza Orobica e allevatori orobici che acquistano capre Girgentane (siciliane) (per accentuare il carattere di torsione delle corna).
E che dire di quegli allevatori di capre Orobiche che acquistano capre Vallesane (per accentuare il carattere di lunghezza del pelo). È certo che anche in passato vi fossero scambi anche su questa base “estetica”. Oggi, però, la facilità dello scambio e dell’acquisizione delle informazioni (e degli scambi di animali anche a grande distanza) rischia di generalizzarsi. Poco male, si dirà, vuol dire semplicemente che l’allevare capre sta assumendo dei connotati simili all’allevare colombi o cani.
Il fatto, però, è che la riproduzione di cani e colombi è molto più controllata. L’allevamento delle razze locali di capre (ma il discorso può valere anche per le pecore) e tutt’oggi legato a sistemi di allevamento che hanno precisi significati territoriali, utilizzando le risorse dei pascoli magri, contribuendo a mantenere in vita alcune tradizioni di produzione casearia pastorale. Allevare capre, in definitiva, è un fatto che va al di là di semplici scelte e interessi, privati. Il rischio è che ritenendo legittimo ogni capriccio individuale si perdano valori collettivi.
Da questo punto di vista è bene ricordare che nei sistemi pastorali, in cui buona parte delle razze “locali” (più o meno a rischio di estinzione) sono allevate, il controllo sulla riproduzione è minimo. Gli alpeggi dove la maggior parte delle capre Orobiche trascorrono l’estate e la prima parte dell’autunno (in corrispondenza quindi con il periodo della riproduzione) sono facilmente accessibili ai becchi (i maschi) che provengono da altri alpeggi e, persino, da altre vallate. E nessuno sta a sorvegliare le capre e a proteggerne la virtù dalle insidie dei becchi forestieri!
Una strategia di conservazione non ha senso in questo contesto se non è una strategia territoriale. Un grosso plauso va tributato alla Associazione Produttori Valli del Bitto che ha vincolato la produzione del Bitto “storico” non solo all’impiego del latte di capra, ma – andando oltre – ha specificato che le capre devono essere Orobiche. Va osservato, però, che anche nei greggi di questi alpeggi vi sono significative “infiltrazioni” e che, in ogni caso la buona volontà di conservare la capra Orobica è spesso frustrata dalla presenza di becchi di altre razze locali quando non da becchi di razze “cosmopolite”.
Che fare? Innanzitutto vanno evitato di diffondere un entusiasmo per le razze locali “da collezionista”. Chi si occupa seriamente della difesa delle razze locali deve preoccuparsi maggiormente di trasmettere “in allegato” i corretti messaggi ecoculturali “per l’uso”.
Si pone poi il problema di una regolamentazione. Tante fatiche e tanta burocrazia per distribuire un po’ di contributi rischiano di essere vanificati se l’allevamento delle razze locali è lasciato al capriccio dei singoli. Laddove la monta è incontrollata e l’allevamento avviene in condizioni semi-brade non si possono difendere i tipi genetici autoctoni se non con norme che vietino l’alpeggio di riproduttori maschi di altre razze.
a cura di Associazione R.a.r.e. (Razze Autoctone a Rischio di Estinzione)