La pastorizia sarda (r)esiste. Grazie alla manodopera rumena

Il lavoro del pastore costringe alla solitudine, condizione di vita ancora più dura se il lavoratore è un emigrato – foto Pixabay©

Come buona parte della produzione di Grana Padano e Parmigiano Reggiano è legata alla forza lavoro degli indiani sikh, quella dei formaggi sardi è strettamente connessa sin dai primi anni di questo secolo alla concreta presenza di lavoratori rumeni. Un fenomeno tutt’altro che trascurabile, per le molte vicissitudini che il mondo pastorale sardo sta attraversando, non ultima l’incapacità di coinvolgere i propri giovani nelle aziende di famiglia.

A trattare in profondità la storia e le dinamiche della presenza rumena nel mondo pastorale sardo, è stato – lunedî scorso 7 maggio – il sito web “Osservatorio Balcani e Caucaso” con l’articolo “Sardegna: pastori di Romania”. Il pezzo percorre, sulla falsariga dell’intervista all’antropologo Sergio Contu, i capisaldi di quella che appare come una vera e propria fenomenologia dell’emigrazione rurale nell’isola da parte di una specifica comunità rumena, quella della provincia di Galaţi, all’estremità orientale del Paese, in prossimità del confine con Moldavia e Ucraina. Una emigrazione fatta di diversi momenti storici e congiunturali, di differenti flussi generazionali e condizioni di genere. E di un’evoluzione fenomenologica in cui finalmente, negli ultimi anni, uomini e donne di uno stesso Paese, accettati – ma con riserva – dal mondo rurale sardo, provano a ricomporre il senso di famiglia lontani dalla propria terra.

Pastore rumeno – foto Darwinek – Creative Commons License©

La trattazione dell’antropologo sardo si dipana così dal significato di “nicchia migratoria” (teoria del sociologo Roger Waldinger, fatta sua da Contu, ndr) alla individuazione di spazi occupazionali, da una condizione lavorativa di totale isolamento alla graduale e silenziosa sostituzione della manodopera autoctona.

L’articolo tratta in maniera ampia e al tempo stesso in profondità il fenomeno, evidenziando il ruolo ricoperto dalle aziende agricole della Toscana e del Lazio – le non poche condotte da imprenditori sardi o di origine sarda – che sono state le indispensabili “teste di ponte” per portare con continuità questa forza-lavoro nell’isola.

L’analisi si spinge sino ai nostri giorni, indagando le criticità di un fenomeno che si dimostra sempre attuale, nonostante le difficoltà e i limiti che lo avvolgono: mutevoli, ma pur sempre esistenti. È forse vero che l’odierna Sardegna pastorale preferisce il lavoratore rumeno a quello locale? E se questo corrisponde a realtà, è forse dipeso dall’affidabilità e dall’abnegazione che i lavoratori rumeni hanno saputo sin qui esprimere? E poi, a guardar bene, quell’ombra di xenofobia che aveva accompagnato i primi arrivi di questi lavoratori stranieri, si è forse risolta o ha assunto nuove dimensioni e contorni, alla luce del fatto che si tratti pur sempre di cristiani (non musulmani), bianchi (non di colore) ed europei (non extracomunitari)?

A questi e ad altri interessanti  quesiti risponde l’articolo (raggiungibile cliccando qui), che ci aiuta a capire un poco di più e meglio il complesso e affascinante mondo pastorale sardo.

14 maggio 2018