Lupo: palliativi in Veneto, abbattimenti in Trentino Alto Adige

Un esemplare di Lupus lupus, nel Parco di Spormaggiore (Trento) – foto Llorenzi – Creative Commons License©

Anno dopo anno l’approssimarsi della stagione d’alpeggio si sta trasformando da festa qual era in preoccupazione per chi conduce le proprie bestie nelle Terre Alte, vivendo di quello: le predazioni di animali al pascolo da parte dei lupi sono ormai una costante e fiaccano la vita degli allevatori che ancora praticano la zootecnia estensiva. Un incubo per molti pastori e margari, dal momento che, anno dopo anno, le perdite di bestiame causate dalle incursioni dei lupi sono in incessante aumento.

Pastori, dicevamo, che ancora resistono – nonostante tutto – nel valorizzare i territori prativi, da sempre destinati all’alimentazione degli erbivori, e nel produrre le vere eccellenze, che non si fanno con mangimi e unifeed, ma con l’erba. Erba fresca brucata: perché i ruminanti, se liberi di farlo, scelgono cosa mangiare. E cosa no. Al tempo stesso è una comunità, quella dei pastori, a cui è affidata, senza che alcuno la remuneri, la gestione di territori marginali di grande valore paesaggistico. Territori che senza di loro e senza le loro bestie, nella gran parte dei casi, si ridurrebbero ad inguardabili scenari di abbandono.

E così, l’amministrazione regionale del Veneto ha annunciato di voler allentare la morsa che i predatori hanno portato nelle vite di queste comunità. Ad Asiago, ad esempio, è stata disposta in questi giorni l’apertura di uno sportello presidiato da un funzionario regionale della Direzione Agroambiente, Caccia e Pesca, incaricato di “assistere i pastori nell’affrontare i problemi di convivenza con i grandi carnivori”. Per tre giorni alla settimana esso sarà presente nella sede dell’Unione Montana per garantire assistenza e coordinamento alle guardie venatorie, ma anche formazione agli allevatori e risposte alle richieste di sostegno, oltre all’inoltro delle domande d’indennizzo.

Il funzionario effettuerà i sopralluoghi presso le aziende e le comunità locali, attuando una forma di collaborazione sperimentale che potrà essere estesa – se ritenuta poi soddisfacente – ad altre aree montane del Veneto, in cui la convivenza tra le attività di pascolo e la presenza di predatori crea tensioni crescenti tra le comunità degli allevatori e una parte della restante popolazione.

Veneto: servono soluzioni, non palliativi
L’obiettivo principale dell’accordo è quello di monitorare la situazione e di facilitare l’informazione sui metodi più corretti ed efficaci per prevenire gli assalti dei lupi (ma anche quelli delle linci e degli orsi), onde favorire l’attività di pascolo, mettendo in sicurezza – si dice – malghe e malghesi, ma troppo spesso attuando poco più che palliativi. Semplificando poi, questo sempre nelle intenzioni, la rilevazione dei danni e accelerando – si dice – l’iter per le pratiche d’indennizzo a seguito delle predazioni, nonché trovando strategie funzionali per garantire la convivenza tra le attività di pascolo e la presenza di specie animali sin troppo protette, oramai. Ed affermiamo questo in quanto, a guardar bene, lo status di animali a rischio d’estinzione appare largamente e da tempo superato.

”Il nuovo accordo”, è stato dichiarato dagli amministratori locali, “darà continuità alla politica di sostegno, dialogo e confronto” tra gli allevatori e i territori interessati, nel contesto di una politica che si dichiara “orientata a fronteggiare i problemi causati dal ritorno del lupo nell’area alpina”. Secondo l’ultimo censimento sarebbero circa 150 gli esemplari di questa specie presenti nella regione: una comunità animale con cui i pastori sono chiamati a convivere senza che venga presa purtroppo – almeno per ora – alcuna scelta lungimirante di riduzione del numero dei capi stessi.

A poco servono, di fatto, le risorse che la Regione Veneto ha messo a disposizione degli allevatori per la prevenzione: appena dieci pastori abruzzesi e circa duecento recinti elettrificati, che risultano in alcuni casi inutilizzabili per via dei terreni sassosi e fortemente scoscesi.

Oltre a quanto fatto sinora, è previsto un nuovo stanziamento di un milione di euro, destinato alla prevenzione dei danni da fauna selvatica (da reperirsi con una modifica al Programma di Sviluppo Rurale), la contabilizzazione degli indennizzi su base trimestrale, per accelerarne i tempi di erogazione, e l’incarico a quattro figure tecniche destinate a supervisionare la messa in opera, il collaudo e la manutenzione dei recinti elettrificati.

Dal canto loro gli allevatori dell’Altopiano chiedono recinti fissi negli alpeggi, per ricoverare di notte gli animali più fragili e maggiormente soggetti agli assalti dei lupi. Una proposta che verrà prossimamente vagliata in sede tecnico-amministrativa, per valutare la sua sostenibilità e l’efficacia prevista.

Trentino Alto Adige: si punta al contenimento del lupo
Di ben altro spessore le scelte del Trentino Alto Adige. Le amministrazioni delle due Province autonome di Trento e Bolzano hanno recentemente stabilito di procedere con urgenza all’approvazione di un disegno di legge per poter abbattere i lupi ritenuti problematici. L’iniziativa ha riacceso la discussione sul ritorno dei grandi carnivori nelle Alpi e sulla loro convivenza con l’uomo e sta suscitando non poche polemiche, rilanciate dai media locali e nazionali.

La decisione appare coraggiosa e apprezzabile, a fronte delle diffuse resistenze di un’opinione pubblica largamente incurante delle sorti del tessuto sociale che mantiene in vita le nostre Alpi. A presentare finalmente in maniera corretta la situazione è apparso ieri sulle pagine del quotidiano online L’Adige un articolo del suo direttore responsabile Pierangelo Giovanetti intitolato “Se serve, i lupi vanno abbattuti”, a cui va il nostro plauso e la cui lettura, speriamo, offrirà spunti di riflessione – non comuni e assai stimolanti – ai nostri lettori.

10 giugno 2018