I pastori vanno a processo e attorno a loro si organizza la mobilitazione. Inizierà a giorni quella che appare una vera e propria resa dei conti, in Sardegna, tra uno Stato che non ha risposte per chi non ce la fa a vivere del proprio lavoro – in particolare chi da sempre è dedito alla pastorizia – e chi, vessato da un sistema-latte iniquo, viene scippato persino del proprio diritto di protestare.
Anziché adoperarsi per riorganizzare una filiera del latte che palesemente premia trasformatori e commercianti, e punisce chi produce, presidia il territorio, e dovrebbe tenere in vita l’economia propria e quella dell’isola, l’apparato governativo usa il pugno di ferro. E lo fa contro i protagonisti delle proteste che all’inizio dello scorso anno avevano portato alla ribalta nazionale la vertenza dei produttori di latte ovino, con i plateali sversamenti che in tutto il mondo avevano ottenuto un’eco mediatica senza pari.
L’operazione giudiziaria che è stata architettata per spegnere le velleità di protesta riguarda un migliaio di persone, a quanto pare un numero destinato a crescere, già che altri avvisi di garanzia potrebbero presto essere recapitati, a quanto pare anche a chi si è limitato ad esprimere il proprio consenso alle proteste – magari in maniera colorita – utilizzando i social media.
La protesta annunciata è un sit-in, in programma per venerdì 24 gennaio a Sassari, in occasione della prima vera udienza sulle manifestazioni che i pastori inscenarono alla fine dell’inverno scorso. Davanti alla giudice monocratica Valentina Nuvoli compariranno otto pastori finiti sotto inchiesta per i fatti registrati il 13 febbraio a Bonorva. Protesta che si concluse con lo sversamento di un’autocisterna destinata ad un’industria; un caso estremo e assai poco difendibile perché, a differenza di molti altri, aggravato da un atto violento teso a danneggiare terzi.
E proprio l’episodio di Bonorva, assieme ad altre poche e circoscritte vicende – registrate nei primi mesi dell’anno a Nule (Sassari), Lula e Orune (Nuoro), Santa Maria Navarrese (Ogliastra), Burcei, Carbonia e Villacidro (nel Sud Sardegna) – è uno di quelli rispetto ai quali il movimento pastorale avrebbe dovuto prendere le distanze, quantomeno uno dei meno idonei a vedersi dedicato un sit-in, che a ben pensarci è la forma di protesta più pacifista che esista, quella che forse avrebbe dovuto accompagnare gli sversamenti del solo proprio latte, senza porgere il fianco alle speculazioni a cui stiamo ora assistendo.
Il movimento dei pastori tocca così adesso, alla vigilia di una stagione processuale che difficilmente sarà indolore, il punto più alto della propria debolezza, dei propri limiti, oltre il quale il futuro non è mai apparso incerto come oggi. A ribadirlo sono la situazione di spaccatura venutasi a creare al proprio interno, forse pilotata, forse spontanea, come si può apprendere dalle cronache (leggi su Ansa, L’Unione Sarda, YouTG) dei giorni scorsi.
Una situazione da cui non si riesce a percepire nulla di buono: le armi della protesta sono spuntate, le più eclatanti manipolabili ad arte, il movimento disunito e indebolito. La politica parla poco, non prende posizioni nette, giammai degli impegni. E chi comanda il vapore, come al solito, lascia che siano gli altri ad esporsi.
20 gennaio 2020
A chi avesse dimenticato il ruolo della pastorizia e dei pastori in Sardegna, è destinato il video “Pastori custodi del territorio” – prodotto dalla ARA Sardegna, regia di Francesco Casu – che qui riproduciamo e da cui è tratta l’immagine di apertura di questo articolo.