
Da un mese a questa parte non si parla d’altro che di virus; il 63% degli italiani sono stressati – lo dice l’autorevole “Quotidiano Sanità” – ma senza dubbio qualche categoria di imprenditori e lavoratori è maggiormente sottoposta a pressioni, psicologiche, ed economiche. Tra di esse «anche l’economia pastorale e di montagna è stata colpita dalla Covid-19». Un’economia, che, lo assicura Nunzio Marcelli, presidente dell’Arpo (Associazione Regionale Produttori Ovicaprini) d’Abruzzo, «aveva già le difese immunitarie basse, e ora rischia definitivamente di scomparire, a causa di un malanno ben più grave, che – fare attenzione – non risponde al nome di Coronavirus, ma a quello di Agea».
«L’agenzia nazionale (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, ndr), che riceve miliardi dall’Europa per sostenere la nostra agricoltura, che persino durante questa emergenza ha rilasciato tronfie dichiarazioni di aver erogato fondi per milioni di euro, e che i nostri contributi del 2018 e 2019», si accalora Marcelli, «ancora li ha in pancia».
Quello di Agea è un gioco al massacro
In sostanza, l’Agea, che dovrebbe sostenere l’agricoltura, e in particolare quella delle aree più interne e svantaggiate, invece di versare i pagamenti previsti, li blocca, e uccide un intero settore.
«Si può essere penalizzati per una “anomalia”», ci confessa Marcelli, «di cui non si riuscirà mai a capire chi è il colpevole, come sanarla, quando sarà rimossa; si può essere bloccati e non riuscire a parlare con un funzionario o un impiegato per mesi». Nulla di più surreale. Né di più italiano.
«Nel frattempo», prosegue Marcelli, «la crisi che colpisce tutta la nostra economia in conseguenza dell’emergenza sanitaria, danneggia aziende che non possono interrompere la produzione: le pecore non si fermano, e i prodotti restano invenduti. Le filiere corte, che potrebbero oggi essere una risorsa anche in termini di sicurezza, perchè muovono molto meno le persone e i trasporti – riducendo i rischi di diffusione del contagio – non sono mai state sostenute; la grande distribuzione ignora i prodotti locali, e alimenta catene lunghe di forniture, incrementando i contatti con le aree ad alto contagio».
Una comunità in balia della mafia dei pascoli
«Dopo aver lasciato che i nostri pascoli fossero predati da società che hanno sottratto i terreni e munto i soldi dei contributi europei», aggiunge il presidente dell’Arpo, «oggi siamo due volte penalizzati, perché quelle stesse società, che non hanno mai avuto animali né produzioni, oggi non hanno il problema del prodotto invenduto. Hanno incassato i fondi europei, svuotato il territorio, e lasciato dietro di sé il deserto. Il Governo con il “decreto emergenza” obbliga la pubblica amministrazione a procedere con tutti i pagamenti: ma in Regione chi doveva avere i danni da cinghiali non ha incassato nulla, e a livello nazionale l’Agea fa grandi proclami, senza che i soldi arrivino mai, neanche in piena emergenza». «È questo», conclude costernato Marcelli, «il virus che ci sta uccidendo».
30 marzo 2020
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