Prosegue l’impegno del Parco Nazionale della Majella per costruire sul proprio modello una visione tranquillizzante della problematica dei grandi predatori. Dopo l’evento recentemente ospitato in collaborazione con Eurac Research, che ha condotto sull’altopiano abruzzese un gruppo di allevatori austriaci (ne abbiamo parlato lunedì 19 scorso), ecco che l’ente parco – attraverso un comunicato stampa – lancia un messaggio ad effetto. Un messaggio che non può non sorprendere tanto i comuni cittadini quanto gli operatori del settore.
Colpisce il titolo ad effetto – “Il Lupo riporta la pecora” – con cui una nuova iniziativa, di per sé largamente apprezzabile, viene lanciata. Colpisce già il trattamento discriminatorio di una iniziale maiuscola e di una minuscola (su cui non ci soffermiamo, non avendo psicologi in redazione, ndr) ma sorprende ancor più il corollario di “dimenticanze”, oltre la sostanza dell’iniziativa.
State a sentire: “Il Programma di restituzione della pecora predata”, spiegano i vertici dell’ente, “nasce a coronamento dell’esperienza sviluppata dal Parco Nazionale della Majella nella gestione della coesistenza tra carnivori e zootecnia. L’idea è stata concordata e sottoposta all’attenzione degli allevatori, e mira fondamentalmente a ripristinare anche il potenziale produttivo dell’animale, che andrebbe perduto anche se si indennizzasse un congruo valore economico del capo abbattuto”.
In pratica al pastore non viene risarcita la pecora morta con una somma di denaro, bensì con una pecora in sostituzione. Lungi da noi voler disquisire sulle migliori o peggiori caratteristiche dell’animale offerto in sostituzione, il pensiero va oltre, perché le perdite da predazione non si fermano ai capi morti, o feriti.
“Con questa iniziativa”, prosegue l’ente parco, “l’allevatore azzera il danno, e il Parco determina una significativa diminuzione dell’impatto dei predatori protetti, anche riuscendo, in alcuni casi, a diminuire l’erogazione di fondi per la compensazione. Nei casi di predazione accertata da lupo, l’allevatore riceve direttamente in azienda i capi corrispondenti, dal punto di vista della categoria commerciale, a quelli deceduti e, eccezionalmente, dispersi in seguito ad eventi predatori accertati”.
Ma le perdite, come accennavamo, sono anche altre, assolutamente non quantificabili; perdite che in un parco come quello della Majella sono risapute anche dalle pietre; figuriamoci dai dirigenti. Esse sono:
- perdite per danni morali conseguenti ad ogni predazione
- perdite di tempo per disbrigo pratiche relative al risarcimento
- perdita per le bestie ferite e non morte
- perdita dei capi non recuperati (senza carcassa non si riceve né un centesimo né un’altra pecora)
- perdita per la riduzione della produzione lattifera degli animali spaventati
Tutto ciò non viene risarcito, purtroppo.
“I capi restituiti all’allevatore”, concludono i responsabili del Parco Nazionale della Majella, “sono controllati per gli aspetti sanitari, ed appartenenti a razze tipicamente allevate sulle montagne abruzzesi. Tutto questo grazie ad un’iniziativa che vede anche la costituzione del “gregge del Parco”, per la quale il Parco Nazionale della Majella gestisce, in convenzione con allevatori, un gruppo di animali che possono essere all’occorrenza ceduti agli allevatori danneggiati che ne faranno richiesta”.
Come si dice, “bello ma non balla“, purtroppo.
26 ottobre 2020