
Ancora denunce, per i pastori sardi che rivendicarono con clamore, due anni fa, il sacrosanto diritto ad una remunerazione adeguata per il latte prodotto. Denunce e rinvii a giudizio (una ventina di pastori si dovranno difendere presso il Tribunale di Sassari, a maggio da accuse che si palesano verosimilmente artefatte) per le proteste riguardanti un prezzo del latte che ancor oggi è al di sotto dei costi di produzione.
Il clima di intimidazione è palese ed è quello di uno Stato che non ha risposte per sanare l’annosa ingiustizia che vede sempre gli industriali in una botte di ferro, e mai nulla di concreto per riscattare i pastori dal ruolo subalterno – di palese sfruttamento – in cui da sempre giacciono. Ancora una volta la politica repressiva delle lotte di base emerge in tutta la sua virulenza, e ancora una volta le realtà di base dovranno vigilare e lottare per rivendicare dei diritti che dovrebbero essere garantiti dallo Stato, se la democrazia non fosse solo di facciata.

L’accusa riguarda le fasi più estreme delle proteste di allora, e si riferisce al blocco di autocisterne refrigerate dirette ai caseifici. Cisterne che vennero svuotate sulle strade e talvolta incendiate, ma la sensazione è che a fronte di pochi effettivi e non chiaramente documentati responsabili degli assalti gli “apparati” puntino alla criminalizzazione di un mondo che è tessuto sociale produttivo pulsante. E che in quanto tale andrebbe valorizzato e non terrorizzato, come evidentemente si vuol fare.
In questo scenario che vorrebbe la presenza di una politica locale attenta a salvaguardare chi ogni giorno mantiene viva la principale economia dell’isola, a brillare nei giorni scorsi per un’indecente speculazione è la Lega, che per voce del coordinatore regionale Eugenio Zoffili ha pronunciato inopportune parole di vicinanza e solidarietà ai pastori dell’isola.
Un atteggiamento che i pastori sardi oggi respingono, memori del succedersi degli eventi di quei giorni:
11 febbraio – Una delegazione del Movimento Pastori Sardi (Felice Floris, Mario Carai, Roberto Congia e altri) si riunisce per due ore presso l’aeroporto militare di Decimomannu con esponenti di primo piano del Governo (il premier Giuseppe Conte e i ministri dell’Agricoltura e del Sud: Gian Marco Centinaio e Barbara Lezzi, giunti appositamente sull’isola) incassando l’interessamento del ministro Centinaio che si impegna a convocare pr il 21 febbraio il tavolo tecnico del latte presso il Mipaaf. Il ministro si impegna altresì a cercare soluzioni in sede comunitaria prima di quella data.
12 febbraio – I vertici nazionali di Coldiretti (il presidente Prandini e il segretario generale Gesmundo) incontrano presso il Viminale il ministro degli Interni Matteo Salvini che prende la decisione di spostare le trattative al tavolo tecnico del suo dicastero. Salvini annuncia una sua prossima visita in Sardegna (da domenica 17 al mercoledì seguente) e si impegna a risolvere la vertenza dei pastori in 48 ore (l’impegno verrà poi ribadito dal ministro degli Interni in terra sarda e mai mantenuto, ndr).
21 febbraio – Gli industriali decidono di non partecipare al tavolo tecnico convocato dal ministro Centinaio al Mipaaf, per cui la possibilità di una trattativa sfuma per palese responsabilità degli stessi.
Nei giorni seguenti anche le Prefetture sarde vengono interessate della cosa per gestire gli sviluppi della situazione in sede locale. Vengono convocati incontri tra le parti a cui partecipano altre realtà pastorali ma non il Mps.
Per leggere appieno le responsabilità dei suddetti nella questione di merito basti pensare che non a caso il Decreto Sicurezza voluto da Salvini introdusse – con l’articolo 23 – un severo inasprimento delle misure di contrasto al blocco stradale (“Disposizioni in materia di blocco stradale”). La memoria del popolo sardo è lunga per lasciarsi abbindolare oggi da tardivi proclami, totalmente incoerenti con le gravi scelte di allora.
A ripercorrere quelle vicende interviene oggi Roberto Congia, esponente di spicco del Movimento Pastori Sardi e rappresentante al tavolo ovicaprini per LiberiAgricoltori: «Il Movimento Pastori Sardi non partecipò agli incontri presto Ministero degli Interni e Prefetture, perché pensava – come pensa oggi – che non si trattasse di una questione da Ministero degli Interni».
«L’intenzione del ministro degli Interni», prosegue Congia, «era quella di sedare la protesta e di riportare l’ordine, di certo non quella di dare al nostro latte una giusta remunerazione». «Sulla recente interrogazione del leghista Zoffili al Senato», insiste l’esponente dell’Mps, «c’è da chiedersi per quale motivo non la fece allora e perché non bloccò il decreto sicurezza».
Uno sguardo al futuro, con Roberto Congia (Mps)
Di certo un’analisi compiuta oggi sui fatti di allora, ha senso se si guarda a quanto poco – o nulla – sia mutata in due anni la condizione dei pastori sardi. E se si cerca di superare le criticità guardando prospettive nuove, possibili vie di uscita e stando al passo coi tempi.
«Il pastore era allora ed è rimasto oggi», incalza Congia, «l’anello debole della catena, perché il prezzo del latte non è mai adeguato al prezzo dei formaggi. È una problematica che va risolta ed è un questione politica che va affrontata». «Ad ogni crisi sempre più pastori spariscono», dice preoccupato Congia: «dal 2019 ad oggi hanno cessato l’attività quasi un migliaio di loro, in Sardegna».
«È una problematica da porre, che l’Mps porta avanti dal 2010: a dover essere salvaguardata», insiste l’esponente dell’Mps, «è la figura del pastore, non la produzione del latte. Perché se si continua così ci saranno sempre più pecore e sempre meno pastori».
Ancora una volta la questione non riguarda di certo l’ordine pubblico e va affrontata nelle sedi competenti: presso l’Assessorato Regionale all’Agricoltura, il Consiglio Regionale Sardo e presso il Mipaaf.
«Ed è una questione», prosegue Congia, «che ha vari aspetti da considerare oltre al prezzo del latte. Va affrontata dando al pastore il ruolo che deve avere; quello di custode del territorio e dell’ambiente. Ma va affrontata considerando anche il modello dell’allevamento sardo, con le pecore al pascolo, puntando a valorizzarlo e a promuoverlo anche all’estero come modello produttivo virtuoso.
«Andrebbero valorizzati ed esportati i prodotti», prosegue Congia, «pubblicizzando questo modello produttivo, e invece assistiamo a incomprensibili spinte verso gli allevamenti semi-intensivi, proposti nel contesto di corsi sul benessere animale». «La questione va anche affrontata in sede di riforma della Pac. Molti pastori – attraverso il “refresh” (leggi qui e anche qui) rischiano di perdere i titoli, che non gli verranno riconosciuti. Bisogna dare attenzione quindi alla Pac assicurando al pastore il ruolo di custode dell’ambiente, inquadrando i pascoli diversamente, e valorizzandone i titoli».
Solo così si potrà garantire un futuro al modello di allevamento estensivo sardo – che è l’unico grande valore in gioco, che ê parte integrante e fondante della cultura pastorale dell’isola – e portarlo ad essere il fiore all’occhiello che merita di essere. E la spina dorsale di un’economia identitaria come poche altre ce ne sono al mondo.
29 marzo 2021
articolo modificato il 30.03.2021 17:45