Chi guardi in questi giorni alla civilissima protesta degli allevatori bufalini casertani contro gli errori che la politica – regionale e nazionale – ha compiuto e compie contro di essi (e contro le loro aziende, quindi contro il tessuto produttivo di quella comunità) scoprirà (o avrà conferma) che un certo genere di politica sa essere violenta(*). Orribilmente violenta.
Questo riguarda tutti, nessuno escluso, e dà ad una vertenza locale e settoriale un valore universale e una connotazione tale da non consentire a nessuno di voltarsi dall’altra parte. Eccezion fatta per chi, rivendicando o ritenendosi in democrazia, accetta poi di vivere meschinamente da soggiogato. Da vinto.
La politica, che in una democrazia rappresentativa dovrebbe mantenere vivo il dialogo con le proprie comunità – e fare di quel confronto il proprio afflato vitale – appare oggi totalmente sorda davanti alla richiesta di dialogo di chi in passato ha già perduto, per errore e mano della politica stessa, 140mila capi bufalini (soppressi per sospetta brucellosi, poi risultati sani nel 98% dei casi, e avviati al consumo con guadagni iperbolici, ndr) e più di 300 aziende. Aziende che per quegli errori e per quella politica hanno chiuso i battenti.
Chi su questa vicenda abbia pensato o pensi che anche la politica – regionale e nazionale – possa compiere degli errori, magari in buona fede, è oggi di fronte all’evidenza che quegli errori, che altrove hanno innescato interessi e vantaggi (chi ha seguito la puntata di Report del 2 maggio scorso lo sa), sono stati compiuti – e stanno di nuovo per essere compiuti – coscientemente, alla faccia di una comunità locale che avrebbe dovuto essere sostenuta, tutelata e valorizzata. Ma evidentemente, per chi non se ne fosse reso conto, viviamo in una “democrazia delle apparenze”.
Lo sciopero della fame di Gianni Fabbris
Per tutto ciò, e per molto altro ancora, Gianni Fabbris, fondatore e presidente onorario di Altragricoltura, che dalla nascita di questa vertenza casertana è portavoce del Coordinamento Unitario in Difesa del Patrimonio Bufalino, è oggi al tredicesimo giorno di sciopero della fame. Assieme agli allevatori, che si alternano al suo fianco giorno dopo giorno in questa forma di protesta altamente civile – e altrettanto rischiosa – Gianni chiede semplicemente il dialogo, per evitare che altre scelte e altri errori arrechino ulteriori danni al comparto.
Conosciamo e stimiamo Gianni da oltre quindici anni, per le innumerevoli lotte al fianco del mondo contadino e di fronte a questa vicenda temiamo fortemente per la sua salute. A 64 anni, con problemi di pressione e di diabete, uno sciopero della fame (beve solo un cappuccino al giorno, la mattina, ndr) se anche non ti ammazza, qualche segno finisce per lasciartelo.
Per tutto questo chiediamo ad ognuno di voi lettori di farsi parte attiva nel divulgare questa vicenda, che – a fronte della gravità che ha assunto – non sta ancora ricevendo sufficienti attenzioni da parte dei media.
Di seguito riportiamo uno scritto che poche ore fa Gianni ha pubblicato sul sito web di Altragricoltura. Leggetelo, fatelo vostro, fatelo circolare. In calce all’articolo troverete alcune prese di posizione su questa vicenda e dei link ad articoli che trattano vari e recenti aspetti che la vertenza sta assumendo, nei diversi livelli relazionali con cui si intreccia.
30 maggio 2022
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Riflessioni di Gianni Fabbris nel suo 12° giorno di sciopero della fame
Dedicate agli allevatori di Terra di Lavoro in movimento
Ore 5,30 del 29 maggio 2022. Casal di Principe. Dodicesimo giorno del mio sciopero della fame…
Oggi è complicata, lo so: so che sarà dura e lo so dai segnali fisici che già al risveglio mi arrivano.
Oggi è il mio dodicesimo giorno di sciopero della fame (non tocco cibo dall’alba del 18 maggio tranne che 11 cappuccini), l’effetto delle flebo di ieri con non solo quale ricostituente dentro, deve essere svanito e fisicamente è dura.
Mi sono molto stupito del mio corpo in questi giorni di sciopero della fame. So cosa vuol dire farlo. Ne ho vissuti diversi sostenendone la parte organizzativa, sindacale, di supporto e so cosa vuol dire per le persone mettersi in gioco. So anche cosa significa concretamente per averlo fatto un paio di volte. La seconda è durata diciassette giorni (come ricordano tanti cittadini lucani e pugliesi che poi hanno visto riconoscersi almeno parte dei risarcimenti da alluvione). Era, però, 11 anni fa… non avevo ancora i 64 anni che porto adesso.
Prima di iniziare questa nuova lotta, mi sono guardato dentro, vi ho trovato tutte le motivazioni e la consapevolezza che rendono possibile esperienze come queste, ho fatto appello lucidamente al sovra più di saggezza degli altri undici anni di esperienze maturate da allora e mi sono trovato di fronte alla vera incognita che non potevo risolvere: come reggerà il mio corpo a 64 anni? Ce la farò? Naturalmente ho consultato i miei medici, mi sono confrontato con i miei affetti, con i miei compagni, gli allevatori e ora sono qui.
Superati i primi 3/4 giorni difficili in cui il mio corpo ha reclamato quasi con rabbia il cibo, ne sono arrivati altrettanti in cui la mente e le motivazioni hanno preso il controllo. Sono stati giorni di gran lavoro di cui mi sono stupito io stesso. Giorni in cui l’equilibrio funzionava: la fame era praticamente inesistente e le energie erano tali che ho potuto lavorare producendo secondo i miei standard normali… ovvero tanto. Il medico mi dice che dovrei essere rilassato, disteso, che dovrei riposare, che alle 19 dovrei staccare qualsiasi attività. Per me non può essere cosi… impossibile. L’iniziativa va sostenuta, vanno scritti i comunicati, tenuti gli incontri, pianificate le iniziative. Poi, dopo una lunga giornata di lavoro insieme al piccolo gruppo di supporto che sta sostenendo l’immane lavoro che stiamo producendo e cui va la mia/nostra riconoscenza più profonda, arriva la sera ed è il momento più difficile.
Arrivano gli allevatori per tenere incontri e riunioni organizzative, dopo la loro lunga giornata di lavoro nelle stalle e nei campi cui sono obbligati perché è il tempo della fienagione che non possono non compiere, perché la terra ha i suoi ritmi che non stanno dietro alle delibere regionali e perché gli animali vanno accuditi con cura ogni giorno; non possono essere lasciati nemmeno per impegnarsi in una battaglia che potrebbe salvare molti di loro.
Gli allevatori, telefonano, scrivono messaggi su whatsapp, appena possono con i vestiti da lavoro vengono al presidio. Ogni giorno una parte delle energie che il mio corpo si concede, mentali e fisiche, devono essere impegnate a tranquillizzarli, assicurarli, spiegare.
Sono preoccupati per me, indignati perché le risposte non arrivano.
Reggere l’onda delle loro emozioni è un impegno vero . Spiegare ad ognuno di loro cosa sta accadendo impegna tante energie e mette alla prova le emozioni. Rispondere alla loro reazione è “educativo” e, prima di tutto per me, scrigno e tesoro di nuova esperienza politica e umana.
“Gianni smettila, loro sono dei bastardi. Non ti meritano. Non risponderanno. Loro vogliono farti morire perché vogliono farci morire. Non ci hanno mai ascoltato, per loro noi siamo quattro bufalari ignoranti che non meritano niente. È meglio che scassiamo tutto cosi la finiamo”.
Ognuna di queste frasi dette con sincerità e con “il cuore” ha meritato e merita una risposta. Costringe ognuno a mettere in gioco non solo l’istinto ma anche il raziocinio: “È quello che vogliono. Vi stanno provocando in continuazione chiamandovi camorristi perché vogliono che voi reagiate cosi. È la sceneggiata del potere, il linguaggio dello scaricabarile sul più debole: devono poter dire… ecco vedete che abbiamo ragione noi che siamo le istituzioni civili mentre loro sono barbari delinquenti, bufalari infiltrati dalla camorra che mostrano il loro vero volto? Non vedete che di loro stanno approfittando quattro sobillatori che li strumentalizzano?”. E mentre i rappresentanti delle istituzioni, che dovrebbero essere garanti di tutti, proferiscono gli anatemi minacciosi come prevede la migliore tradizione popolare della sceneggiata napoletana, senti, in realtà, il linguaggio spietato degli interessi speculativi e finanziari che ne approfittano mentre stanno cercando di mettere le mani sul business della mozzarella”.
Ed allora prende corpo la risposta vera, la novità assoluta di tutta questa nostra esperienza in campo da 5 mesi che sta cambiando lo scenario e la storia del territorio: se il linguaggio della politica è quello dei rapporti di forza, allora la vera nostra forza non è la rabbia sorda individuale, ma l’esperienza collettiva di chi si fa comunità, che ha chiaro in testa il sogno di cui ha bisogno questa terra e lo sa raccontare.
Raccontare è “riprendersi la parola” perché se non lo fai tu stesso allora altri lo faranno per te e, dunque, il falso uscirà dalla tua bocca ridotta ad essere quella di un pupazzo che parla per conto di un ventriloquo.
Riprendersi la parola: la vera rivoluzione e la vera forza su cui puntare. E la parola non è la mia che sono solo lo strumento perché si inneschi il processo, l’occasione di una dinamica pronta ad esprimersi perché incubata da temp da tante condizioni che la politica avrebbe dovuto vedere e valorizzare se fosse stata responsabile e attenta.
La parola è quella dei tanti allevatori e dei tanti cittadini di questo territorio per la prima volta davvero insieme e sempre di più uniti in un cammino che, lentamente ma inesorabilmente e sempre più velocemente, può diventare un fiume in piena: la rinascita di una comunità che parla la lingua comune del suo progetto di futuro e non accetta più di pagare i costi del presente come agnelli sacrificali sull’altare della modernità e della speculazione.
La mia giornata si avvia con questa riflessione in attesa di poter godere di una nuova flebo che dia al mio corpo la forza (più probabilmente l’illusione o il pretesto) di continuare il lavoro come è dovere di una qualsiasi parte di una macchina complessa. Il motore è formato da tante componenti ed ognuna deve fare il proprio lavoro anche se in condizioni estreme perché si metta in moto.
Io proverò, anche oggi, ad assolvere alla funzione di “portavoce” di questa comunità e per farlo proverò ancora ad essere “attivo”, a scrivere, incontrare, parlare, rassicurare, telefonare a costo che chi non ha la consapevolezza di quello che sta accadendo possa pensare che “sto facendo finta perché uno che fa lo sciopero della fame mica può avere tutte quelle energie!”.
A quanti di loro sono in buona fede, giro l’invito a riflettere sulla forza delle motivazioni e delle ragioni che ci spingono ed a domandarsi chi in realtà sta mettendo in campo la sceneggiata.
A proposito, domani sera (lunedì 30 maggio, tredicesimo giorno del mio sciopero della fame) faremo il punto della situazione in assemblea e, come abbiamo sempre fatto, collettivamente esprimeremo il giudizio e vedremo se continueranno le sceneggiate.
Abbiamo chiesto a tre cariche istituzionali che hanno responsabilità sul destino degli uomini e delle donne coinvolti che una delegazione di allevatori sia ascoltata in un incontro. Patuanelli, Speranza e De Luca sanno che lo sciopero della fame è fatto per questo: perché loro direttamente possano formarsi una idea compiuta su chi sono e cosa vogliono. Non so se per chi governa questo sia un un privilegio anche se mi piace pensarlo, so che è un dovere politico e istituzionale.
Ad oggi, il Ministro all’Agricoltura Stefano Patuanelli, dando segno di ascolto, ha risposto fissando l’incontro ma, alle 8 di domenica mattina 29 maggio, non sono arrivate risposte dal Ministro alla Salute Roberto Speranza e dal Presidente Vincenzo De Luca.
Io, che ho condiviso con ambedue la storia di un grande percorso politico che fondava la sua forza nelle radici profonde inestricabilmente aggrovigliate nel corpo dei lavoratori e alimentate dall’humus della democrazia, attendo la risposta fra chi duramente lavora e si batte per diritti collettivi preparandomi a vivere anche questo giorno di lotta e di impegno di comunità.
Gianni Fabbris – presidente onorario di Altragricoltura
Portavoce del Coordinamento Unitario in Difesa del Patrimonio Bufalino
Lette in questi giorni sui social media:
…”L’unica “colpa” di Gianni Fabbris e del comitato degli allevatori è di aver scoperchiato un enorme vaso di Pandora, che ha riversato fuori tutta la pattumiera delle collusioni tra Regioni, Stato, Industriali, imprese e malavita.
Sulle spalle degli allevatori di bufale, sono stati mandati al macello migliaia di animali, entrati come malati e poi usciti come “commerciabili”, e venduti a quattro soldi a chi ha saputo lucrare su tutto questo, creando una macchina dell’imbroglio quasi perfetta”…
…”Lo scandalo è adesso davanti agli occhi di tutti. Cosa farà lo Stato? Restituirà dignità e legalità al settore bufalino? O cercherà di insabbiare le prove, per tutelare pochi affaristi e quelle “personalità” politiche che hanno permesso a questa macchina mostruosa di perpetrare ingiustizie insopportabili sia a danno degli allevatori che dei loro animali?”…
…”Gli allevatori chiedono poche cose, ma sostanziali: il vaccino contro la brucella e l’auto-controllo sanitario dei loro animali, in coordinamento con le ASL. Sono richieste semplici e legittime, eppure si fa fatica a farle approvare, perché la loro applicazione scardinerebbe un sistema “potente” di interessi economici particolaristici, che qualcuno – ai più’ alti livelli – non vuole mettere in discussione”.
Dario Novellino
Ricercatore, antropologo, University of Kent
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“Ci sono tre motivi + uno che spingono la determinazione di Gianni nella lotta a favore della vita di allevatori ed allevati (le bufale) in provincia di Caserta e contro:
– una legge, quella degli abbattimenti indiscriminati, che deve cambiare e che ha sterminato oltre 120.000 animali sani in 10 anni (1,5% quello effettivamente malato) e centinaia di piccole medie aziende bufaline;
– una area grigia di interessi molto estesa che si massimizza con un grande beneficiario, i macelli di Cremonini, (il più grande commerciante di viventi che diventano carne in Italia) i quali possono continuativamente approvvigionarsi a condizioni scontate;
– la pesante cappa di ingiustizia perpetrata nel tempo e puntellata da regole inique e regolanti ossequiosi e subalterni che schiaccia il territorio, economia e anelito di libertà e nuove opportunità.
In più, c’è la sua spinta e volontà nel costruire Comunità.
Le Comunità, aperte consapevoli ed inclusive, sono l’unica reale prospettiva di riorganizzazione sociale ed economica territoriale”.
Lucio Cavazzoni
Presidente Goodland
già amministratore delegato Alce Nero
e co-fondatore Libera Terra
Dalla Rassegna stampa
Sciopero della fame degli allevatori di bufale casertane, il ministro Patuanelli convoca un incontro a Roma (La Repubblica – Napoli)
Brucellosi, malore per portavoce allevatori in sciopero fame (Ansa)
Asl, emergenza veterinaria, De Luca nomina il Commissario. Si parla di un generale dei Carabinieri (Appia Polis)
Brucellosi, Libera Caserta e Comitato Don Peppe Diana si schierano con i difensori del patrimonio bufalino (Appia Polis)
Coordinamento difesa Patrimonio Bufalino: “La Regione annuncia commissario ma per fare cosa?” (Anteprima 24)
Campania, allevatori bufalini allo sciopero della fame (Agronotizie)
Lotta allevatori bufale, nuove adesioni a sciopero fame (Ansa)
(*) Violento è
Violento è chi dovrebbe ascoltarti e non lo fa.
Violento è chi decide per te imponendoti le sue scelte.
Violento è chi, agendo così, ti cala dall’alto le sue soluzioni, piegando la tua vita al suo volere. E ai suoi interessi.