Una volta, e parliamo di vent’anni fa o forse meno, andare a vivere dalla città in campagna, o semplicemente a soggiornarvi nel fine settimana o per le vacanze, non poteva prescindere dall’accettazione di una serie di connotazioni tipiche del vivere in quei luoghi. Là vi si allevano ancora galline e polli – vivaddio! – e anche vacche e manzi, ed è naturale che il canto del gallo risuoni alle prime ore del giorno, e che il tintinnare di campanacci più o meno grandi e acuti risuoni col muoversi di ogni mandria o gregge.
Purtroppo, negli ultimi anni, si è evidenziata una componente sociale – ahi noi!, in seria crescita – che appare disturbata da varie nevrosi, o fuorviata da un’idea di evasione che anche nei territori rurali pretenderebbe un silenzio tanto assoluto quanto irreale – che al minimo scampanellio reagisce con una violenza inaudita. Una violenza che si manifesta in varie forme: espressa localmente e personalmente ai presunti responsabili dei presunti disturbi, o dalle pagine dei giornali locali, attraverso lettere di lamentele che purtroppo trovano spesso spazio, laddove le redazioni si sentono in dovere di dare la parola a chiunque.
Sempre più spesso – è il segno dei tempi che corrono – tali proteste sfociano in azioni singole o collettive sui social media, innescando straripanti aggregazioni di esaltati che, riconoscendosi in un “problema” enunciato, si esaltano attorno a quello attraverso i meccanismi tipici dell’odio, dell’intolleranza, del “tutti contro tutti”.
Il fenomeno sembra investire l’intero arco alpino e, a quanto pare, non conosce confini: né geografici né linguistici (lo trattammo già nel 2017 raccontando una vicenda occorsa in Alta Savoia). Oggi è invece da noi, in Piemonte, che balza all’attenzione delle cronache, per quanto se ne sta parlando, più sui social media che sulle pagine dei giornali, purtroppo.
Tutto parte stavolta non da irritabili o irritate orde di cittadini esaltati e dalle loro sciocche lamentele, bensì e per fortuna da un sindaco lungimirante, con qualche (buona) idea e capacità d’iniziativa.
Di fronte al crescente fenomeno dei cacciatori di un silenzio “malato”, il primo cittadino di Andrate, comune della Città Metropolitana di Torino, undici chilometri a nord di Ivrea, non s’è perduto d’animo. Ha fatto realizzare un’efficace cartellonistica, con cui – tra il serio e il faceto – dà il benvenuto a chiunque passi sul suo territorio, ma soprattutto a chi sa rispettare quel che di più autentico il territorio stesso sa esprimere.
Enrico Bovo, questo il nome del sindaco di Andrate, ha così deciso di rendere pubblico il suo pensiero attraverso una locandina, che in sostanza suona così:
“Qui abbiamo un campanile che suona regolarmente. Dei galli che cantano di buon mattino. Delle mandrie che pascolano nei nostri prati e hanno dei campanacci al collo. Agricoltori e artigiani che lavorano per farvi trovare prodotti genuini a km0.
Se tutto questo vi dà fastidio, non siete nel posto ideale per voi”.
Il messaggio, stampato a cura della Comunità Montana Mombarone, riporta la firma di altri tre Comuni, oltre a quello di Andrate: Carema, Nomaglio e Settimo Vittone, in cui le locandine vengono esposte.
Mercoledì scorso, 23 novembre, la pubblicazione del simpatico messaggio sulla pagina Facebook del Comune di Andrate ha sorpreso non poche persone, tant’è che Bovo ha deciso di spiegare, in altre parole, altrettanto efficaci, che “Ogni tanto qualcuno si lamenta del suono delle campane, del gallo che canta alle 5 del mattino o delle mucche che pascolano con i loro campanacci». «Questa è montagna», ha concluso il sindaco, «e abbiamo pensato di ricordarlo con un qualcosa di spiritoso». Con l’ovvio e implicito invito, per chi non sopporti tali “disturbi”, di tornare ai clacson delle città, tanto interiorizzati dai più dal sembrare quasi silenzio.
28 novembre 2022
Curiosa la concomitanza, in questi stessi giorni, con cui un altro sindaco – quello di Follina, nel trevigiano – ha dato un’altra lezione di civiltà, stavolta a molti propri cittadini e ad alcuni sindaci del territorio