Sardegna: un ardito progetto Coldiretti sposterà mille pastori kirghisi sull’isola

Pastore con pecore
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Spostare vite verso l’ignoto. Sembra questo il rischio – se non l’obiettivo – con cui Coldiretti si lancia in un’operazione per nulla semplice. Un’operazione con cui un centinaio di pastori kirghisi (un primo contingente) tra i diciotto e i quarantacinque anni si vedrà proiettato da un giorno all’altro a seimila chilometri di distanza da casa, in una terra assai diversa dalla loro: la Sardegna.

Pastori tra pastori: questo sembra il senso di un’operazione per nulla semplice, oltre la banalità che pervade l’affermazione secondo cui entrambe le culture sono fortemente legate alla pastorizia e alle pecore.

L’accordo, ufficialmente teso a salvare gli allevamenti delle aree più a rischio dell’isola, è stato siglato da Coldiretti con il Ministero del Lavoro della repubblica ex sovietica e prevede l’arrivo graduale di oltre mille pastori abili nei lavori agricoli – assieme alle loro famiglie – e avrebbe a che fare, dicono i suoi artefici, persino con le tradizioni agroalimentari sarde.

Chi conosca minimamente la ricchezza, la complessità e la diversificazione che queste hanno (formaggi, pani, pasticceria secca, ecc.) nelle varie aree della Sardegna ben comprende quanto la sfida sia umanamente più che complessa.

Coldiretti in sostanza ha presentato ieri, martedì 19 settembre, l’operazione come un progetto a medio-lungo termine per l’inserimento di migliaia di stranieri che, a seconda della domanda, verranno inseriti nei distretti rurali di Sassari, Barbagia e Sarrabus, attraverso l’aiuto di mediatori culturali che – immaginiamo – avranno un gran bel da fare.

“In Kirghizistan”,  precisa Coldiretti, “è fortemente presente l’allevamento con profonde conoscenze dell’attività casearia, diffuse competenze soprattutto nella realizzazione di formaggio da latte di pecora (sì, ma quali formaggi?, ndr) ma anche nell’allevamento dei cavalli”.

“L’accordo”, precisa la rappresentanza agricola, “prevede contratti di apprendistato e poi a tempo indeterminato, con la possibilità di occupare le tante case sfitte nei piccoli centri dell’Isola”. Una prima selezione sarà affidata inizialmente al ministero del lavoro del Kirghizistan che preparerà i bandi per l’individuazione di personale da inserire nel progetto, dopo la firma di un protocollo tra Coldiretti e il governo kirghiso, con il sostegno del ministero degli Affari esteri e di quello dell’Agricoltura, della Sovranià Alimentare e Foreste.

Se per molti versi le esperienze pregresse con pastori rumeni, macedoni, albanesi (assai più vicini ai nostri come cultura e abitudini) hanno visto i medesimi sparire dalla scena in meno di venti anni (chi tornato a casa, chi persuaso da ingaggi ben più ricchi d’Oltralpe) crediamo che con i kirghisi, al netto di possibili attriti e nonostante la presenza delle famiglie, non andrà di certo meglio.

20 settembre 2020