Si è parlato di pastorizia e di aree interne, ma anche di opportunità occupazionali, mercoledì scorso 13 dicembre, presso l’aula magna dell’Istituto Agrario De Sanctis di Avellino. L’occasione l’ha offerta un convegno non a caso intitolato “E se la pastorizia fosse il mestiere del futuro?” a cui hanno partecipato studenti sia interni che ospiti, del locale Istituto Professionale Alberghiero Rossi Doria.
Al centro dei lavori le opportunità e l’innovazione della pastorizia e il ruolo che essa può e deve svolgere nelle e per le aree interne della provincia. A convergere nella realizzazione dell’evento molti relatori e collaboratori di diversi enti: Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi di economia agraria), Rete Rurale Nazionale, Associazione Riabitare l’Italia, Associazione Hub Animatori Territoriali Aps, oltre ai due istituti coinvolti.
“Promuovere la Scuola dei Giovani Pastori”, spiega una nota stampa diffusa in occasione del convegno, è “l’obiettivo per rilanciare e riproporre un mestiere che sta andando in disuso ma che, al contempo, può rispondere alla necessità dei giovani che tornano per restare e per chi, invece, ha sempre creduto nella possibilità di poter vivere in una provincia drammaticamente afflitta dallo spopolamento, come l’Irpinia”. Un’iniziativa dunque che si rivolge ai futuri professionisti che vogliono avviare un’attività imprenditoriale legata al mondo della pastorizia, rivalutando il circuito economico e ambientale di luoghi periferici.
Il progetto della scuola, finanziato da Fondazione Cariplo e condotto da Crea, Rete Rurale e Riabitare l’Italia, ha l’intento di fornire agli studenti, selezionati con un bando di ammissione, tutti gli strumenti per avviare o riprendere attività di pastorizia secondo i principi della sostenibilità economica e ambientale.
Il convegno, moderato da Gianni Colucci, giornalista del quotidiano Il Mattino, è stato avviato dal dirigente scolastico Pietro Caterini che ha sottolineato quanto attraverso le «Opportunità nell’agroalimentare sia fondamentale puntare sulle produzioni interne e di qualità per dare un futuro concreto ai ragazzi«.
«Incentiviamo le iscrizioni all’istituto agrario», ha proseguito Caterini, «per far maturare nei ragazzi le competenze da acquisire e mettere in pratica nell’attività imprenditoriale. È un incontro importante questo con la Scuola dei Giovani Pastori che si cala perfettamente nelle opportunità del nostro territorio: un progetto che significa innovazione partendo da un mestiere che arriva dall’interno e da lontano».
La parola è poi passata alla direttrice della scuola, la ricercatrice del Crea Daniela Storti, che ha sottolineato che «I risultati della scuola li vedremo tra qualche anno, ma intanto abbiamo già qualche numero che parla chiaro: la metà dei candidati è composta da donne, che in gran parte non provengono dal settore. Molti sono laureati ma tutti sono spinti da una base comune: la motivazione».
«Le aree interne», ha proseguito Storti, «vengono chiamate così perché sono lontane dai servizi. Mi sento di dire che l’errore che si fa spesso, è quello di affidare ai singoli il dovere di cambiare i territori. Non è così: L ’idea della scuola nasce dalla volontà e dell’idea di voler capire che l’agricoltura e in particolar modo la pastorizia, è un’attività antica che ha messo in relazione le comunità e le interconnessioni della vita sociale, costruendo solidi collegamenti tra persone e luoghi. È da questa volontà che nasce l’idea della scuola ma abbiamo cercato di capire da dove partire e di cosa hanno bisogno i giovani per restare qui nelle aree più interne».
«Da questa indagine», ha concluso la direttrice della scuola, «sono venute fuori idee e numeri importanti: il 67% dei giovani vuole fortemente restare ma molti di questi non possono farlo perché non hanno lavoro. Non dimentichiamo che il legame con le comunità è poi fondamentale, così come anche con gli ecosistemi. Abbiamo scelto una tematizzazione molto precisa: noi siamo stati facilitatori ma gli allevatori sono formatori che distribuiscono buone pratiche in modo esperienziale e interattivo. Costruire network tra territori e persone quindi – anche tra imprenditori per un progetto di formazione scolastica itinerante ed esperienziale – sono i nostri passi che dobbiamo portare avanti».
Dal canto suo Salvatore Claps, direttore della sede Crea di Bella, in provincia di Potenza, ha parlato di ricerca e territorio, riferendosi alla Scuola del Casaro, che ha preso il via nel suo centro nel novembre del 2022: «Noi rappresentiamo un ente di ricerca che si è sempre occupato di formaggi tipici. La nostra scuola organizza corsi che mettono in evidenza razze, territorialità e tradizione, che è importante nella produzione e che insegna a capire l’importanza della sostenibilità».
«Alla prima edizione del nostro corso», ha proseguito Clips, «hanno partecipato metà donne e metà uomini – tutti al di sotto dei 40 anni – che al termine degli studi hanno conseguito l’attestato professionale. La transumanza non è più da considerare un’attività di tipo tradizionale, essendo oggi più prossima alla zootecnia: quello del pastore va considerato come il ritorno di un imprenditore rigenerato, inquadrato in un contesto innovativo e digitale. E l’attenzione va incentrata sulla produzione di alimenti tipici, senza i quali non possiamo fare nulla».
La parola ai protagonisti
Da tutt’altra prospettiva, e molto interessanti, sono stati gli interventi di un’allieva di un precedente corso del Crea e di alcuni produttori locali. La prima, Vera Pezzullo, ha sottolineato come «Il pastore di oggi deve essere innovativo e deve capire come farlo veramente, per rendere la montagna migliore. Restare nelle aree marginali è difficile: io mi occupo di zootecnia nelle università, e credo che sia fondamentale capire come farlo in maniera rispettabile e sostenibile. Oggi come un tempo il pastore vive grazie al gregge, e viceversa, ed è nostro compito garantire la sopravvivenza di questo mestiere».
Dal canto suo, Annamaria Rosamilia, dell’Azienda Agricola La Verga di Rocca San Felice, produttrice di pecorino e delegata del Presidio Slow Food del Carmasciano ha presentato la propria realtà, sottolineando che «Rappresentiamo un’antica tradizione casearia e alleviamo un gregge di pecore Laticauda, che – assieme Bagnolese – è una delle due razze autoctone rimaste in Irpinia. Quando si parla di prodotti del territorio, si deve partire a monte, dalla razza, dal territorio e dall’alimentazione dei nostri animali. Quando si fa un prodotto “disciplinato” da un presidio Slow Food si deve garantire una ferma regolamentazione della produzione, in ogni sua parte. Noi, grazie alla presenza della mefite (zone pascolive caratterizzate dalla presenza di polle sulfuree), possiamo produrre un formaggio unico come il Carmasciano: la sua azione sulfurea, oltre ad offrireun’alimentazione sana, ne garantisce anche un prodotto unico nel suo genere, che si caratterizza già nel latte e poi nei formaggi».
A seguire Anna Anna Russo, titolare del caseificio aziendale La Bagnolese, specializzata nella produzione dell’omonimo pecorino: «Ho sposato un pastore che è pastore da ben sei generazioni: il suo è certamente un mestiere che profuma di antico ma noi lo portiamo avanti con la necessaria innovazione, condizione che non deve mai mancare per tenere viva la tradizione».
«Transumanza», ha proseguito Russo, «deriva dal termine “transumare”, che significa “andare da un luogo all’altro”, e forse noi siamo gli ultimi pastori erranti. Da noi la transumanza è sia estiva che invernale: percorriamo chilometrici cammini con il gregge lungo i tratturi, oggi compromessi dall’industrializzazione e dalla cementificazione. Sono percorsi che sai quando iniziano ma non sai quando è come finiscono o per meglio dire, se arriverai con più bestiame o con il gregge decimato». «Per essere un buon pastore», ha concluso Russo, «serve davvero tanta forza fisica e coraggio, ma bisogna anche essere un po’ folli. Il nostro sacrificio quotidiano per allevare la razza Bagnolese, dipende dalla consapevolezza di dare un prodotto sano, nonostante la poca resa di latte, e garantire la continuazione della transumanza».
Ristorazione e turismo
Interessante anche l’intervento di Carmine Fischetti, titolare del ristorante Oasis di Vallesaccarda, un paese di mille anime in cui il locale, stella green Michelin, è da trent’anni punto di riferimento di una sapienza tradizionale fortemente legata alle attività pastorali. Un locale con un’impronta tradizionale e un forte legame con le produzioni più sostenibili del territorio. «Da anni lavoriamo», ha spiegato Fischetti, «per preservare gli agricoltori del territorio, rifacendoci alla filiera corta, creando un rapporto con chi produce e conoscendoli personalmente. Si sostiene in questo modo un’economia locale e le aziende locali, perché il territorio va sostenuto anche da noi stessi, anche dalle produzioni e nel proporre e dire ai giovani di non trascurare i vecchi mestieri». «Il futuro», ha concluso Fischetti, «va guardato senza perdere d’occhio il passato: il territorio va sostenuto in ogni sua parte e ogni persona deve esserne partecipe con un suo contributo, ovunque si trovi, diventando ambasciatore del territorio fuori o restando, realizzando aziende in maniera naturale. A sostegno dei produttori che da anni lavorano qui, sul territorio».
A chiudere gli interventi è stato Francesco Celli, presidente di Info Irpinia che ha portato la sua esperienza parlando del legame tra prodotti caseari e turismo: «Un’opportunità formativa come questa», ha spiegato Celli, «deve sostenere l’idea che nelle aree interne dell’Irpinia il turismo esperienziale si deve fare semplicemente perché è tutto quello che i turisti cercano. La nostra associazione ha già creato proposte basate su esperienze che vengono ricordate e raccontate, con turisti che sono venuti da ogni parte del mondo. Senza mai dimenticare che quel che più conta è partire dalla tradizione».
20 dicembre 2023