Lattifere predate: nella conta dei danni va aggiunta una carica batterica alle stelle

Gregge di pecore
foto Pixabay©

In Grecia – come in Italia e in numerosi altri Paesi in cui taluni animali selvatici sono iperprotetti dalla legge – i danni causati dalle predazioni alle aziende zootecniche sono sempre più rilevanti. A poco servono, se non a coprire una minima parte delle perdite economiche, le misure di ristoro concesse dagli Stati. Ancor meno i cosiddetti mezzi di difesa passiva, come le reti elettrificate e i cani da guardiania, permettono ad allevatori e pastori di dormire sonni tranquilli.

Sul tema i ricercatori dell’Università della Tessaglia, in Grecia, e della University of Belfast, in Irlanda del Nord, hanno pubblicato, giovedì scorso 8 febbraio, un articolo sul sito web della rivista scientifica Nature. Il pezzo, intitolato “Stress related to wild canid predators near dairy sheep farms associated with increased somatic cell counts in bulk-tank milk” mette in luce, sin dal suo stesso titolo (“Stress correlato ai predatori di canidi selvatici vicino agli allevamenti di pecore da latte associato ad un aumento della conta delle cellule somatiche nel latte sfuso”), un aspetto misconosciuto del problema.

Al di là dei capi feriti e predati, e di quelli dispersi (non recuperati o recuperati in cattive condizioni di salute), oltre le rese lattee ridotte a seguito dello stress, evidentemente si riscontra anche un influsso negativo sulla qualità del latte che solo le analisi chimico-fisiche potevano certificare.

I ricercatori, spiegano nella presentazione dello studio, hanno “studiato l’associazione tra i predatori canidi selvatici (sciacalli e lupi) segnalati vicino agli allevamenti di pecore in tutta la Grecia e la conta delle cellule somatiche nel latte come riflesso della qualità del latte” stesso.

“Lo studio”, prosegue la presentazione, “ha incluso 325 greggi di pecore da latte, in cui sono state conteggiate le cellule somatiche del latte e i conteggi batterici totali e sono stati isolati gli stafilococchi”

Le fattorie monitorate sono state suddivise in tre gruppi: A senza segnalazioni di predatori canidi selvatici nelle vicinanze; B con predatori canidi (sciacallo dorato e lupo grigio) nelle vicinanze (ma senza esperienza di perdite di bestiame a predazione) e C, con predatori canidi nelle vicinanze e perdite di bestiame per predazione.

La conta delle cellule somatiche nel latte di massa nelle aziende del gruppo C è stata significativamente più alta e ricollegabile alle esperienze di predazione vissute dagli animali.

“La presenza di predatori canidi selvatici vicino agli allevamenti ovini”, hanno spiegato gli studiosi, “era associata alla produzione di latte di qualità inferiore, potenzialmente indicativo di stress coerente con i potenziali effetti della condizione di paura”. “L’aumento delle misure di biosicurezza negli allevamenti”, hanno precisato i ricercatori, “ad esempio la presenza di recinzioni e di cani da guardiania potrebbero (il condizionale è d’obbligo, ndr) ridurre al minimo il rischio di predazione, migliorando al contempo il benessere del bestiame e riducendo lo stress associato ai predatori”.

14 febbraio 2024

Chi volesse approfondire il tema può consultare lo studio, in lingua inglese – “Stress related to wild canid predators near dairy sheep farms associated with increased somatic cell counts in bulk-tank milk” – o nella traduzione automatica proposta da Google: “Stress correlato ai predatori di canidi selvatici vicino agli allevamenti di pecore da latte associato ad un aumento della conta delle cellule somatiche nel latte sfuso