
Chi avrebbe mai immaginato che uno dei luoghi con la più alta biodiversità vegetale al mondo si nascondesse tra le montagne dell’Appennino centrale? Eppure, è proprio così: alcune praterie del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm) surclassano ogni possibile aspettativa, ospitando un numero incredibilmente alto di specie vegetali, in un ecosistema straordinariamente ricco.
Un recente studio scientifico coordinato dai botanici dell’Università della Tuscia (Viterbo), intitolato “Drivers of vascular plant, bryophyte and lichen richness in grasslands along a precipitation gradient (central Apennines, Italy)” [“Fattori che determinano la ricchezza di piante vascolari, briofite e licheni nelle praterie lungo un gradiente di precipitazione (Appennino centrale, Italia)”] e pubblicato sul “Journal of Vegetation Science”, ha rivelato che in alcune zone del Parco, su un appezzamento di appena dieci metri quadrati, è possibile trovare sino a 85 specie diverse di piante. Un vero e proprio record, che colloca queste praterie ai vertici mondiali della biodiversità, superando persino le lussureggianti foreste equatoriali.

La ricerca ha indagato sulla “densità di specie” (così si chiama questo modo di misurare la biodiversità) non solo delle piante superiori o angiosperme, ma anche su quella di muschi e licheni terricoli, che vivono sul terreno mescolati alle erbe della prateria. La ricchezza di specie misurata in 97 punti di campionamento – dalla Marsica (Abruzzo) alla Valle di Comino (Lazio) è così stata correlata con le caratteristiche del suolo e del clima. “Muschi e licheni”, spiegano gli studiosi, “costituiscono una componente importante del funzionamento dell’ecosistema prativo ma che purtroppo è spesso dimenticata da chi si occupa di conservazione della biodiversità, portando anche a possibili estinzioni che possono passare inosservate”.
L’elevata ricchezza di piante delle praterie ha come conseguenza una grande diversità di insetti, di uccelli e altri animali, che dipendono strettamente dalle risorse della vegetazione. «Paradossalmente», spiega il professore di Botanica Ambientale Goffredo Filibeck, che ha progettato la ricerca, «i valori massimi di biodiversità vegetale si trovano in genere nelle praterie che vivono su suoli aridi e poveri di nutrienti. Infatti, laddove il suolo è molto produttivo, le specie erbacee di grandi dimensioni prendono il sopravvento, ombreggiando le altre piante e facendo crollare la biodiversità». Non a caso, i valori record del Parco sono stati trovati in località poste a quote relativamente basse – intorno ai 1000 metri di altitudine – dove le caratteristiche del suolo danno luogo ad ambienti piuttosto aridi.
“Questa straordinaria ricchezza”, spiega una nota stampa del Parco, altro non è che “un’eredità dell’ultima glaciazione, quando un clima arido ha portato da noi una vegetazione simile a quelle dalle steppe dell’Asia. Al termine della glaciazione – 15mila anni or sono – le immense mandrie degli erbivori selvatici hanno parzialmente frenato il ritorno degli alberi, creando un mosaico fra boschi, pascoli alberati e grandi radure, dove sopravvivevano piante, insetti e uccelli legati alle praterie steppiche”. “Successivamente”, proseguono i ricercatori, “l’uomo preistorico ha sterminato gli erbivori selvatici, ma nello stesso tempo ha inventato la pastorizia, così il pascolo di pecore e capre ha assunto il ruolo ecologico di mantenere le praterie salve dalla concorrenza degli alberi e pertanto ricche di specie”.
Negli ultimi decenni, però, il progressivo ridursi delle pratiche di pascolamento ha portato e continua a portare in tutto l’Appennino ad una velocissima diffusione di alberi e arbusti. Se in alcune situazioni questo è positivo, in altre sta portando alla scomparsa dell’ecosistema tipico della prateria, che non è “meno naturale” della foresta e che possiede una biodiversità esclusiva e più elevata di quella dei boschi. “Le praterie aride”, spiegano gli autori dello studio, “vanno considerate preziose quanto un bosco secolare e protette di conseguenza”.
Un patrimonio da proteggere
Se questa tendenza perdurasse, quindi, la perdita di biodiversità delle praterie del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise avrebbe conseguenze disastrose non solo per la flora e la fauna locali, ma anche – per l’appunto – per l’intero ecosistema. Le praterie, infatti, svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione del ciclo dell’acqua, nella prevenzione del dissesto idrogeologico e nel mantenimento della fertilità del suolo.
Per frenare tale decadimento e per proteggere questo prezioso patrimonio, è necessario promuovere pratiche agricole sostenibili, che tengano conto delle esigenze dell’ambiente e delle comunità locali. Tra tutte, la valorizzazione e la diffusione della pastorizia, con il sostegno di politiche agricole che incentivino le giovani generazioni verso la gestione sostenibile dei pascoli, è fondamentale per garantire la sopravvivenza di questi unici e straordinari ecosistemi.
23 ottobre 2024