L’azienda è piccola, piccolissima, come spesso accade per tanti produttori di formaggi caprini. Piccola e molto apprezzata da un manipolo di rivenditori che cercano qualità reale, e cose fatte per bene, “come una volta”. Stimata da un minuscolo e crescente numero di operatori e di consumatori, ma non del tutto magari sul territorio in cui vive e opera da anni.
Stiamo parlando di Carmine Bonacci, che dopo una formazione professionale ultimata sei anni fa all’Istituto Tecnico-agrario di Piedimonte Matese, ha scelto la zona di Giano Vetusto, nell’entroterra casertano, per insediare il suo allevamento estensivo, fatto di 90 capre da latte e di quattro becchi, tutti meticci.
Bene, anzi male per Carmine, che da lunedì 30 ottobre è stato investito da una vicenda più grande di lui, già che da un piccolo fatto (apparentemente piccolo, nella sostanza) è scaturito un clamore mediatico attorno ad una vicenda come tante ce ne sono nel mondo dei piccoli produttori, un mondo variegato e composito, è vero, ma che – con una legislazione scritta su misura delle industrie – possono facilmente cadere in qualche illecito (alzi la mano il piccolo produttore che abbia avuto sempre e tutto in regola nella sua azienda!).
Il ruolo dei media
In sostanza, ad entrare (a gamba tesa) nel vivo della questione su questa vicenda ci hanno pensato quotidiani online come Il Salvagente, Diario del Web, The Social Post e altri ancora, che nella titolazione hanno sparato forte (i lettori si conquistano anche così, lo sappiamo), parlando di “rischio biologico” e “allerta alimentare”, semplicemente attingendo ad un comunicato stampa del Ministero della Sanità che, in qualche modo, doveva usare quelle due espressioni.
Ma andiamo con ordine, per dare ai dettagli della vicenda il giusto peso, e per sgomberare il campo dai “se” e dai “ma” che, in situazioni come questa, rischierebbero di intralciare il cammino futuro di un’azienda, frutto più del passaparola e dei ricordi annebbiati che dei fatti concreti di cui la vita è intrisa.
Il passaggio-chiave, nella lettura della vicenda – che in noi ha generato i dubbi maggiori – è stato quello in cui i media hanno citato come fonte il Ministero della Salute, che parlando dei formaggi sequestrati li ha descritti come “prodotti in stabilimento non registrato né riconosciuto”. “In oltre”, prosegue la nota ministeriale, “lo stesso è privo dei requisiti igienico sanitari previsti dalla legislazione comunitaria vigente” ed è stata riscontrata una “mancata evidenza che il latte crudo utilizzato per la produzione dei formaggi soddisfi i criteri stabiliti dalla normativa vigente“.
Oltre il linguaggio burocratese assai poco di tangibile, nella sostanza: non si parla né di listeria, né di brucellosi, né di alcuna zoonosi ma, a quanto pare, principalmente di illeciti di carattere amministrativo. E di dubbi tutti da dimostrare (attraverso analisi di laboratorio di cui al momento non si ha nessuna notizia), che noi per primi abbiamo sentito il bisogno di appurare.
La vicenda nelle parole di Carmine Bonacci
Dopo aver letto i tre articoli, quindi, non soddisfatti dei racconti dei media, abbiamo deciso di chiamare il diretto interessato, per sentire dalla sua viva voce come sono andate le cose, per poter offrire a chi segue le nostre cronache, le giuste chiavi di lettura. A cominciare da chi, conoscendo l’azienda e acquistando da essa, potrebbe ora trovarsi a dubitarne e, chissà, a interrompere un rapporto di collaborazione giudicato sinora quantomeno soddisfacente e mai foriero di problemi (al momento non si registra nessun caso di persone che avendo consumato formaggi di Carmine Bonacci abbiano sofferto i sintomi di tossinfezioni, ndr).
Di seguito riportiamo quindi le nostre domande, e le risposte del diretto interessato:
Qualeformaggio – Buongiorno Bonacci. Alcuni giornali online riferiscono che “il Ministero della Salute ha comunicato il richiamo di numerosi formaggi dell’Azienda Agricola Le Curti di Carmine Bonacci con sede in Giano Vetusto (Ce) alla via Curti 5/a”. Questo risponde al vero? Quando è avvenuto il richiamo? Quali misure sono state adottate? È avvenuto il ritiro dai punti vendita? Dall’azienda? La merce verrà distrutta? Chi ha operato i controlli? Quando?
Carmine Bonacci – Buongiorno a voi. Sì, purtroppo la notizia risponde al vero: a seguito di un’ispezione dei Nas dei Carabinieri, avvenuta il 25 ottobre, è stato imposto il richiamo dei formaggi, dai miei clienti, nei negozi e in parte dall’azienda. L’accertamento ha interessato la sola sede aziendale ed è durata oltre quattro ore. I formaggi sequestrati verranno distrutti. Non avevo mai ricevuto controlli nella mia azienda zootecnica, sinora. I due militari dei Nas erano accompagnati da una dottoressa della Asl di Caserta e da un dottore della Asl locale.
QF – Da quanto riferiscono i giornali, che riportano una fonte del Ministero della Salute, si tratta di prodotti confezionati “in stabilimento non registrato né riconosciuto e privo dei requisiti igienico sanitari previsti dalla legislazione comunitaria vigente”. Davvero il suo stabilimento non è registrato né riconosciuto e privo dei requisiti igienico sanitari previsti dalla legislazione comunitaria vigente? Di cosa difetta? Manca qualche autorizzazione?
C.B. – I locali in cui sono stati rinvenuti i prodotti caseari non sono ancora registrati, ma in corso di autorizzazione. La trasformazione, fino ad oggi – non avendo ancora l’autorizzazione per effettuarla in sede – è stata eseguita presso un laboratorio caseario della mia zona, regolarmente autorizzato. Al momento dell’ispezione, gli agenti dei Nas mi hanno chiesto di entrare nella mia abitazione, ed io li ho fatti accomodare. Qui hanno rinvenuto un quantitativo di formaggi, tenuti in una cella frigorifero, curati e in ottime condizioni, ad una temperatura di 5-6 gradi centigradi, come previsto dalla legge, ma in locale non ancora autorizzato.
Inoltre, nel corso della visita sono stati rinvenuti anche due recipienti per il contenimento di alimenti liquidi, contenenti 80 litri di latte caprino, non nel frigorifero ma nella stanza latte. Anche questo è stato verbalizzato, ma non sequestrato come è stato riferito erroneamente da alcuni giornali.
QF – I giornali riferiscono che “non c’è evidenza che il latte crudo utilizzato per la produzione dei formaggi soddisfi i criteri stabiliti dalla normativa vigente”. Sono parole del giornalista o di chi ha operato i controlli? In genere si operano analisi periodiche. Lei le ha eseguite Quando? Con quali esiti? Si sono mai registrati casi di tossinfezioni (listeria, escherichia coli, o altro) dai suoi prodotti?
C.B. – Il latte di massa viene sottoposto ad analisi tramite l’autocontrollo, periodicamente ogni 15 giorni, come da regolamento. Nelle ultime due campionature analizzate si è verificato solo un aumento delle cellule somatiche del tutto fisiologico, in quanto la gran parte delle capre è in procinto dell’asciutta. Ma nella mia azienda non si è mai registrato un caso di listeria, escherichia coli o di altre zoonosi. Assolutamente mai.
QF – Come interpreta questa situazione, a nostro avviso assai anomala (che si presuma qualcosa e in base alla presunzione si intervenga, in mancanza di un esito analitico positivo)? I provvedimenti restrittivi che le sono stati imposti sono risolvibili, una volta regolarizzata una qualche posizione irregolare dell’azienda? Cosa è tenuto a regolarizzare, con quali tempistiche?
C.B. – Per la regolarizzazione, ho dimostrato agli enti di controllo, tramite documentazione, che sto provvedendo alla ristrutturazione e all’adeguamento dei locali da adibire a laboratorio artigianale per la trasformazione, ad oggi non ancora terminata poiché solo per il cambio di destinazione d’uso dei locali, sono intercorsi dalla richiesta all’incirca 9 mesi. Per la regolarizzazione totale prevedo un periodo di ulteriori 6 mesi.
QF – Lei vive di questa attività? È la sua principale fonte di reddito? Come vede il futuro?
C.B. – Sì, vivo di questa attività, anche se economicamente, in relazione alle ore lavorative giornaliere, potrebbe andare meglio. Per il futuro credo nei miei clienti: loro sanno con quale impegno e serietà lavoro, e quelli che sapranno interpretare correttamente questa vicenda non avranno problemi a sostenermi ancora attraverso gli acquisti. Il fatto che io stia continuando – e che continuerò – a produrre è la prima dimostrazione che non esistono rischi nel consumare i miei formaggi.
Conclusioni
La vicenda in cui è incappato questo piccolo e giovane produttore di formaggi caprini avrebbe potuto riguardare, in tempi e luoghi diversi, ma soprattutto all’inizio delle attività e nei passaggi evolutivi cruciali, quasi ogni altro produttore con la medesima impostazione aziendale: tanto nelle aziende appena nate quanto in quelle impegnate nei principali momenti di crescita (incremento dei capi allevati, ampliamento o ammodernamento della stalla, sostituzione di qualche attrezzatura o mezzo aziendale, etc.) non è raro che si passi per situazioni di (teorica) illegalità, per via di un locale, di uno strumento o di un mezzo per cui non sono ancora giunte le necessarie autorizzazioni. Ma soprattutto, lo ripetiamo spesso, a causa di una legislazione creata sul modello industriale e che quel modello si prefigge di sostenere.
Di questi passaggi critici sono a conoscenza di certo le locali Asl, che a volte riescono a tollerare, conoscendo anche la lentezza della burocrazia nella concessione delle autorizzazioni. Se poi un giorno sono i Nas a bussare alla porta, la musica di certo cambia, ma difficilmente avviene per un caso – lo si consideri attentamente – che una visita del genere possa capitare in un’azienda come questa, senza che mai in passato si sia avuta evidenza di una contaminazione alimentare.
I dubbi in questo senso in noi rimangono, quindi, e giammai si posano né si poseranno sull’operato dei Nas (senza i quali l’Italia agroalimentare sarebbe una piccola giungla, ndr), ma sui motivi che lo hanno sollecitato. Forse la causa di questa vicenda, il vero motivo scatenante, va ricercato all’esterno dell’azienda: o in problemi di vicinato, causati dalla presenza e dalla movimentazione degli animali, o nel lento ma incessante successo che l’azienda sta incontrando. Come se il successo di un’azienda avesse potuto innescare in qualcuno sentimenti assai meno positivi, tali da operare l’innesco di una (presunta) delazione. È solo un’ipotesi, certo, la nostra. Fatta – ed è la prima volta anche per noi – in quattordici anni di attività giornalistica operata in questo settore.
6 novembre 2017