Formaggi orobici: “mangimi? No, grazie”

Chi al termine della settima edizione della Fiera di San Matteo, un anno fa di questi tempi, aveva parlato di un successo irripetibile è stato smentito: perché la fiera di quest'anno – tenutasi dal 21 al 23 scorsi – ha fatto registrare non uno ma due risultati di rilevanza assoluta. Oltre al record delle presenze (6.850 persone, contro le 5.600 del 2011), la fiera di Branzi ha sancito il trionfo delle produzioni rurali sui modelli zootecnici e caseari "moderni", della qualità reale sulla quantità senza valori, e del cibo salubre sulle insidie che arrivano ogni giorno sulle nostre tavole.

La Fiera di San Matteo di quest'anno ha definitivamente affermato, senza "se" e senza "ma", la superiorità delle realtà più autentiche, in cui "il ritorno all’alimentazione naturale dei bovini è condizione imprescindibile per vincere – in qualità e tipicità – contro la pianura".

 

Negli occhi degli espositori si legge chiara la soddisfazione per il buon esito della fiera"Meno mangimi industriali, più erba e fieno. Il ritorno all’alimentazione naturale, che per secoli ha caratterizzato la zootecnia, salverà l’agricoltura di montagna": se ne dicono sicuri gli esperti, e i produttori con loro. Ne deriveranno, in confronto con la pianura, latte e formaggi di qualità eccelsa, più sani e di assoluta tipicità, in un sistema virtuoso ed ecosostenibile. E da ciò ne guadagnerà il turismo di queste parti, il turismo orobico, sempre più alla ricerca di sapori "di nicchia", originali, stanco di quelli appiattiti di una produzione industriale in crisi che, per troppo tempo, una parte della montagna ha cercato di inseguire e, purtroppo, di imitare.

 

Record di accessi alla Fiera: ben oltre le 6mila presenze

Dalla Fiera di San Matteo di Branzi – conclusasi domenica 23 settembre e che in tre giorni, con 6.850 presenze – produttori di formaggi e studiosi del settore lanciano insieme una rivoluzione, semplice quanto radicale: per risollevare l'economia e il turismo della Valle Brembana occorre guardare al sistema agricolo del passato, totalmente ecologico, tipico e autonomo dal punto di vista alimentare ed energetico. E, alla fine, assolutamente genuino. Ne hanno parlato nel convegno clou della Fiera di San Matteo – sul valore della falce fienaria – Francesco Maroni della Latteria Sociale di Branzi, Michele Corti, docente di zootecnia montana all’Università di Milano, Fausto Gusmeroli, docente universitario della Fondazione Fojanini di studi superiori di Sondrio, il giornalista economico, caporedattore de "L’Avvenire", Massimo Calvi, e Vincenzo Salvini, memoria storica della Valle Brembana.

 

La crisi del modello produttivo di pianura

«Per andare avanti», ha detto Maroni, «dobbiamo guardare indietro: la falce fienaria è il simbolo concreto di questo ritorno alla naturalità, fondamentale se vogliamo salvare l’agricoltura di montagna». Illuminante poi l’intervento di Gusmeroli sull’evoluzione dei sistemi agricoli, per secoli basati su razze autoctone, sull’autosufficienza alimentare (senza mangimi) e sul lavoro biologico dell’uomo: modelli chiusi, che si reggevano da sé e alla fine davano prodotti unici e di qualità. Con le rivoluzioni industriale prima, chimica e genetica poi, si è passati agli allevamenti intensivi: sono drasticamente diminuiti le vacche allevate e i pascoli utilizzati, ma è aumentato il latte prodotto. «Un modello che ha perso la sua tipicità perché senza razze autoctone e alimentazione locale», ha detto Gusmeroli, «ma un modello che oggi è entrato in crisi perché non più sostenibile da un punto di vista economico, anche per l’aumento dei costi energetici». I ricercatori e gli studiosi appaiono convinti però che un ritorno puro al passato non sia né possibile né auspicabile, ma anche che la strada da seguire resta quella di un’agricoltura meno industriale e più tradizionale.

 

Tipicità unica: così il Bitto storico vince nel mondo

«Bisogna il più possibile conservare la tipicità», ha detto Gusmeroli, «tornando ad allevamenti più estensivi, a razze autoctone e ad alimentazioni naturali con foraggio locale. Quindi bisogna favorire la filiera corta dei formaggi, evitando la grande distribuzione e, al contrario, l’identità tra luogo di produzione e di vendita. E poi puntare sulla collaborazione tra produttori e operatori turistici, per fare in modo che la montagna possa tornare a vivere soprattutto di agricoltura e non solo di "luna park" (il riferimento va in specie al turismo invernale e alle sue infrastrutture, ndr)». Un esempio, che in questi ultimi anni, ha consentito il successo del Bitto storico (che insieme a Branzi Ftb, Formai de mut, Agrì, Strachitunt e Stracchino all’antica è uno dei sei "Formaggi principi delle Orobie"), prodotto sulle alte montagne al convergere dei territori valtellinesi, bergamaschi e lecchesi, secondo metodi ancora artigianali (senza mangimi e fermenti e con razze bovine e caprine autoctone): oggi è universalmente riconosciuto come il formaggio più pregiato e pagato del mondo (fino a 245 euro al chilo per una forma ben stagionata prodotta a Mezzoldo). E che consente agli allevatori di continuare a lavorare.

 

Agricoltura tradizionale: il volàno per un turismo che cambia

E il ritorno all’agricoltura tradizionale sarà forse ciò che salverà anche il turismo. «Nell’ultima stagione», ha detto nel convegno di sabato mattina Andrea Macchiavelli, docente di Economia del turismo all’Università di Bergamo, «le Orobie hanno perso il 38% di passaggi sugli impianti sciistici. Ciò nonostante, le presenze turistiche nelle valli sono aumentate del 10%, grazie soprattutto agli stranieri: questo significa che qualcuno ancora va in montagna. Bisogna capire per cosa ci va e la riscoperta della ruralità tradizionale potrà rappresentare uno dei punti di maggiore attrazione».

 

Durante la fiera è stato così presentato il progetto per la realizzazione di pacchetti turistici che contempleranno la visita ai luoghi dei formaggi. Il ritorno, in parte, al passato per garantire il futuro economico e turistico della valle: questo il messaggio finale della Fiera 2012 che, per la cronaca, ha visto vincitore del titolo di "Casaro d’oro" (per il miglior Formai de mut) Alfio Cattaneo di Branzi, mentre quello di vacca "Regina della mostra" zootecnica è andato ad un capo di Giacomo Paganoni di Isola di Fondra. Nella gara di mungitura ha trionfato infine il giovane Nicolò Quarteroni di Lenna, uno dei tanti giovani che, da queste parti, stanno scoprendo più d'un motivo per rimanere: anche perché qua, finalmente, c'è tanto tanto da fare.

 

29 settembre 2012