Catania: “offrire uno sbocco nel turismo ai prodotti pastorali”

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Mentre ovunque sale la tensione sul prezzo del latte (e la stampa nazionale non ne parla ormai quasi più), monta la rabbia degli allevatori, stretti fra crisi economica e boom dei costi aziendali. Le spese di gestione (gasolio, alimentazione, tasse) continuano a salire vertiginosamente, e il prezzo di un litro di latte alla stalla è fermo a 38€/cent se non meno.

In Lombardia, dove si munge il 40 per cento del latte italiano, le imprese agricole attive nel settore sono circa 6.400 ma quelle che conferiscono ai primi acquirenti (cooperative e industrie di trasformazione) sarebbero già scese sotto la soglia delle cinquemila (per approfondire, clicca qui). Nella regione almeno 18mila persone, fra titolari e dipendenti del settore zootecnico sono a rischio occupazione. Tutto questo per un modello di zootecnia intensiva che ha puntato alla quantità innanzitutto e a(gli apparentemente) facili profitti.

Nelle altre regioni non è che le cose vadano meglio, e anche la situazione del latte ovino appare paradossale. In Sardegna i pastori si preparano per la prossima campagna del latte e sono pronti a chiedere un prezzo più alto (nel 2012 hanno incassato attorno ai 66-67€/cent/lt.). Lo annuncia la Copagri dopo un incontro ad Oristano per definire una strategia comune di commercializzazione del latte "per il quale è necessario un prezzo equo, tenendo conto del mercato e delle novità  legislative". «Il Pecorino Romano e il Pecorino Sardo hanno visto interessanti incrementi di prezzo che impongono un pagamento integrativo del latte già conferito», ha dichiarato recentemente Pietro Tandeddu di Copagri, e quel che più sgomenta, nel leggere questo è che ci sia ancora in circolazione gente che parla a nome dei pastori senza la minima intenzione di rompere lo "status quo": i referenti sono sempre gli industriali e i formaggi di riferimento quelli che da sempre pagano meno: Pecorino Romano in testa.

 

Possibile che non si voglia operare per l'autodeterminazione dei pastori, nel tentativo di farli uscire dalla gogna dell'industria? Possibile sia così difficile indicare nella produzione di prodotti su piccola scala e realmente tipici la strada da seguire per tenere in piedi queste economie così fragili? Possibile che non si voglia dare ai piccoli produttori qualche strumento di commercializzazione indipendente?

 

È ora di dire basta a chi – continuando a proclamarsi difensore dei produttori – perpetra l'antica prassi del doppiogiochismo. Personaggi che schierandosi di fatto con gli industriali, perorano la soluzione dell'elemosina che punta a tacitare, per qualche mese ancora, una categoria e un mondo a rischio di estinzione.

 

Dal canto suo, intervenuto al convegno "Agricoltura e territorio: quale futuro?", il ministro Catania ha affermato che «la remunerazione degli allevatori è troppo bassa”, aggiungendo poi che «le imprese casearie si sono adagiate sulla quasi esclusiva produzione di uno, due tipi di formaggio, come il pecorino romano. È inspiegabile che il latte di pecora, in Sardegna, dia origine a soli due prodotti». Il ministro ha anche parlato della mancata integrazione tra turismo e filiera agroalimentare: «in Costa Smeralda il turismo non ha alcun punto di contatto con il territorio, a differenza di altre regioni, come la Puglia, dove il sistema è decollato». Quindi un invito all'integrazione del sistema e del territorio, che in questo modo potrebbe puntare sulla qualità, così da reggere il confronto con altri territori.

 

Dai relatori è arrivato un invito ai produttori e agli agricoltori a puntare sulla qualità ed a far sistema. La domanda che sorge spontanea è: chi se non le istituzioni dell'isola e quelle nazionali dovrebbero dare soluzioni affinché questi bei propositi trovino finalmente una qualche attuazione? E, sullo sbocco verso il turismo locale: non sarà forse un po' tardi?

 

13 ottobre 2012