Slow Food strizza l’occhio all’ industria e sfratta il Bitto ribelle

Immagine di subliminale eloquenza: la chiocciolina non è più la stessa dopo l'inattesa apertura di Petrini all'agro-industria - foto Slow Food®"Se piove di quel che tuona c'è da aspettarsi il peggio". Lo avevano detto alla vigilia dell'apertura del Salone del Gusto i più accorti osservatori presenti a Torino, ed il peggio è arrivato. Detto fatto, a poche ore di distanza dal via libera accordato da Carlin Petrini all'agroindustria («… bisogna creare una nuova alleanza tra il mondo dell'agricoltura e il mondo dell'agroindustria…»), i padiglioni espositivi del Lingotto sono stati percorsi dal più inatteso dei colpi di scena.

Lo stand dei "ribelli del Bitto" (i produttori del Bitto storico, che a differenza degli aderenti alla Dop rifiutano l'uso di mangimi e fermenti standardizzati) veniva spostato dalla postazione prevista dagli organizzatori (nell'area dei Presìdi lombardi), a seguito della pressione esercitata su di essi da alcuni esponenti della Regione Lombardia. Il motivo, semplicissimo: le istituzioni regionali non gradivano di avere come dirimpettai gli antagonisti dell'omonima Dop valtellinese (troppo scomoda la pietra di paragone; troppo ingombrante il successo mondiale per chi non riceve particolari attenzioni dal mercato che cerca qualità), rei di essere andati per la loro strada (usciti dal consorzio della Dop hanno creato un loro consorzio "parallelo") da anni, pur di rimanere fedeli alle metodiche di una produzione secolare.

A detta del professor Michele Corti, che ha raccolto per noi la testimonianza del presidente del Consorzio per la Salvaguardia del Bitto storico – Paolo Ciapparelli – gli organizzatori del Salone, ricevuta una perentoria richiesta dai funzionari della Regione Lombardia ("loro di fronte al nostro stand no, altrimenti ce ne andiamo"), hanno pregato i "ribelli" di traslocare il loro stand in una postazione differente da quella assegnata, al fine di assecondare la richiesta dell'espositore istituzionale.

 

Stavolta l'ufficio stampa del Salone del Gusto non diffonde al primo giorno le immagini dello stand del Bitto storico. A guadagnarne visibilità sono gli altri Presidi caseari (qui quello della Toma di pecora Brigasca) - foto Slow Food®A mettersi nei panni degli organizzatori c'è da capire che in situazioni come queste l'obiettivo primario è quello di non perdere clienti né fatturato, e soprattutto di non guastare delle relazioni istituzionali, ma anche economiche, e a meno di tre anni dall'Expo di Milano c'è un po' da capirlo. A nostro avviso il privilegiare lo stand più grande e "meno virtuoso" (l'uso dei mangimi è quanto di meno nobile un formaggio d'alpeggio  possa subire, come anche l'adozione dei fermenti standardizzati in caseificio) rispetto a quello più minuto del Presidio caseario (il più emblematico che Slow Food abbia a livello mondiale) ha avuto le sue ragioni  in una mera questione di "peso" e di opportunità (chi più paga più ha ragione nel contendere) che probabilmente non arrecherà strascichi aggiuntivi ad una situazione ormai non più ricomponibile (al di là della Casa del Bitto di Gerola, il Bitto storico gravita ormai sul versante Orobico anche commercialmente, oltre che idealmente).

 

Ma vediamo grazie al contributo che ci offre il professor Corti i dettagli della vicenda e la sua personale chiave di lettura:

 

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Forme di Bitto storico con la marchiatura che contraddistingue i vari alpeggi: un'iniziativa presa da anni per evitare confusione con il Bitto della Dop - foto Sysaworld®Solo gesti di ribellione, di trasparenza, di onestà "eversiva" possono smontare il sistema di corruzione legale e illegale, ricatti, collusioni sul quale si regge il sistema politico-istituzionale-corporativo. le istituzioni e il "parapubblico" sono solo la  punta dell'iceberg di un sistema di potentati diffusi che rendono complici, come in una immensa tela di ragno, tanti, troppi italiani. Non fosse così il sistema politico (la punta dell'iceberg) sarebbe già imploso. Il Bitto storico, un formaggio d'alpeggio fatto "all'antica" fatto da gente semplice ma determinata e onesta dentro tutto questo rappresenta un caso esemplare. Un caso che mette a nudo la miseria delle istituzioni, spesso paravento di cricche senza legittimità alcuna a gestire il potere che detengono. Le istituzioni non sono (purtroppo) "di tutti" ma "cosa loro" ed è meglio esserne consapevoli

 

Paolo Ciapparelli, presidente dei "ribelli del Bitto" ha accettato, per senso di responsabilità, di traslocare lo stand del più famoso presidio italiano al Salone del Gusto di Torino lontano da dove gli uomini della casta non volevano che stesse. Ma oggi intervistato dichiara: "Voglio che escano i nomi di Renato Ciaponi e Marco Deghi, i nemici del bitto storico che ci hanno fatto subire questa angheria". Ciapparelli non parla a vanvera perché le "pressioni" (ma sarebbe ora di dire pane al pane e vino al vino e di chiamarle ricatti) sono state raccolte da Raffaella Ponzio, responsabile dei presidi italiani nell'ambito di Slow Food. È lei che si è rivolta a Ciapparelli per riferire del ricatto "o via il Bitto storico dal posto di fronte allo stand istituzionale della regione Lombardia o va via lo stand". Slow Food, come in altre circostanze, lasciava a Paolo la decisione ma era chiaro che gli si metteva sulle spalle una scelta troppo pesante.

 

Intanto la notizia rimbalza a Bergamo (dove il Bitto storico  orobico ha grande considerazione e il titolone non è bello da vedere. In tutta questa faccenda la Regione Lombardia ha una responsabilità pesante con la sua delega in bianco alle caste valtellinesi politico-agroalimentari (tra l'altro è un ex-burocrate regionale). Non si capisce neppure perché Slow Food non abbia inteso resistere senza caricare al povero Ciapparelli il peso di tanta responsabilità. Perché non rimandare al mittente una minaccia che era un bluff palese (oltre che espressione di arroganza smisurata)?. Chi può credere che con lo stand quasi già finito di montare la Regione Lombardia si sarebbe ritirato? In quale cosmica figuraccia sarebbe incorsa? Conveniva veramente all'istituzione (e non ai proconsoli che per delega la rappresentavano copo degnamente a Torino) fare la parte dei bravacci che minacciano i piccoli eroici produttori del Bitto storico. No di certo. Resta l'amaro in bocca e qualche interrogativo.

 

L'Eco di Bergamo sempre attento alle vicende del Bitto storico ha colto la gravità di quanto avvenuto l'altro ieri mentre si allestivano gli stand del Salone del Gusto e oggi parla di "Bitto storico declassato". Un titolo che fa male ai tanti amici, sostenitori, estimatori del "vero" Bitto. Sempre oggi  Ciapparelli dichiara: "Bisogna che degli autori di questi soprusi si sappiano nomi e cognomi" e oggi li fa: Renato Ciaponi e Marco Deghi, il primo attualmente assessore in Comunità Montana, ex-funzionario regionale e "uomo della casta". Quando era responsabile per lo Spafa (ex Servizio provinciale agricoltura e foreste della Regione Lombardia) del comparto zootecnico e caseario favorì il Bitto "omologato" esteso a tutta la provincia di Sondrio raccontando bugie come: "in tutti gli alpeggi della provincia di Sondrio si è sempre prodotto formaggio grasso, derivato da latte intero, le cui caratteristiche sono simili a quelle del Bitto" (Bitto: finalmente DOC. in: Alpesagia luglio 1995, pp. 48-50). Tutte le pubblicazioni scientifiche e tecniche comprese quelle di regione Lombardia asserivano il contrario. Ma per i burocrati è vero quello che dicono loro. Oggi Ciaponi ha due cadreghe che sarebbero ovunque incompatibili ma non nella Valtellina delle cricche. E' assessore in Comunità Montana di Morbegno e direttore del Consorzio turistico. Deghi è il direttore della Latteria sociale Valtellina e del "polo caseario" Valtellinese, uno che fa il bello e cattivo tempo nel comparto caseario e vorrebbe eliminare la spina nel fianco costituita – con la loro mera esistenza e resistenza dai "ribelli del Bitto," che si oppongono a questo monopolio basato su visioni industrialiste contrarie agli interessi dei contadini (semmai consone alle sole poche grandi aziende imprenditoriali legate alle caste locali). Va comunque precisato che la responsabilità di aver "sfrattato" il presidio del Bitto storico dal posto programmato insieme agli altri Presidi lombardi è tutta di Regione Lombardia visto che lo stand che non voleva avere la vicinanza dei "sovversivi del Bitto" è quello istituzionale della Regione. Viene anche da chiedersi. Ma la minaccia di ritirare lo stand istituzionale era così credibile? Poteva Ciaponi prendere una tale decisione che avrebbe esposto la Regione Lombardia al ludibrio universale? Perché Slow Food non ha risposto che il Bitto storico era lì insieme ai presidi lombardi e che doveva restare lì?

di Michele Corti

ruralpini.it

27 ottobre 2012