La Sardegna sarà come l’Emilia Romagna e le altre regioni italiane più avanzate in campo agricolo, con i vari attori della filiera del latte che si siedono intorno a un tavolo e decidono insieme quali politiche attuare affinché il mercato possa essere remunerativo per tutti, dai produttori agli industriali. È questo l'intento del "patto del latte", promosso dal Consiglio regionale sardo attraverso l’ordine del giorno n.98, approvato all’unanimità il 5 giugno scorso e illustrato mercoledì scorso in una conferenza stampa dal primo firmatario, Efisio Arbau, vicecapogruppo di "Sardegna è già Domani – La Base", insieme al consigliere del Partito Democratico, Giuseppe Cuccu.
«Il settore agricolo-pastorale ha un ruolo determinante per la nostra economia», spiega Arbau, «anche in tempo di crisi: è il settore che può portarci fuori dalle secche della stagnazione, perché la popolazione mondiale è in continua crescita e con essa la domanda di prodotti alimentari». L’ordine del giorno recepisce il "pacchetto latte" istituito dall’Unione Europea, che prevede la costituzione di organismi interprofessionali che governino il mercato dei singoli prodotti agricoli e regolamentino la produzione. Si tratta di associazioni riconosciute che hanno al loro interno tutti gli operatori del comparto, ed esercitano, quando necessario, il potere sanzionatorio nei confronti di chi vende i prodotti sottobanco facendo crollare il prezzo. Inoltre, decidono come programmare le produzioni, su quali tipi di formaggio concentrarsi in base alla domanda e all’offerta, quando immettere il prodotto sul mercato e in quali quantità, e come commercializzarlo.
«Il problema è», aggiunge Arbau, «che il prezzo del latte oggi non è remunerativo per i produttori, come non lo è neanche per le cooperative e gli industriali, perché il 50% del valore aggiunto viene incamerato dal settore commerciale». Una volta fissata una base normativa per il funzionamento dell’organizzazione, per la Regione viene la parte più difficile: serve un’attività diplomatica che consenta di superare la ventennale guerra tra produttori e trasformatori, e «devono essere l’Assessore all’Agricoltura e la Commissione consiliare competente a mettere insieme le parti; l’interesse comune c’è, perché la congiuntura economica è favorevole, e la Regione non deve investire risorse per incrementare il prezzo del latte ma spingere il settore a fare sistema, anche fornendo un supporto all’organizzazione, tramite i tecnici dell’agenzia Laore».
«Il prezzo finalmente», ha aggiunto Coccu, «è salito sino a 70-75 centesimi, a causa dell’andamento ciclico del pecorino romano sul mercato statunitense, dando respiro al comparto. Ma tutti sanno che il momento favorevole potrebbe non durare a lungo; per cui è necessario intervenire adesso. Il "Patto del Latte" altro non è che un accordo di solidarietà che deve portare a un’equa ripartizione tra i tre settori coinvolti (produzione, trasformazione e commercializzazione) sia del valore aggiunto che del rischio di impresa, oggi interamente a carico dei produttori».
Arbau infine ha ricordato l’incontro organizzato a Gavoi il giorno prima della discussione in Consiglio Regionale della sua mozione che, unificata con le interpellanze di Cuccu e del capogruppo di "Sardegna È Già Domani", Mario Diana, ha dato origine all'ordine del giorno unitario. «Tutti i soggetti hanno mostrato interesse per la proposta», ha detto infine il consigliere.
Certo, è vero che per gli industriali è necessario che la pastorizia rimanga in vita, quindi non ha senso che la situazione di conflitto rimanga in essere. Con la sua nascita, l'organizzazione interprofessionale rappresenterebbe più del 10% dell’economia sarda, coinvolgendo all'incirca 30mila imprese, e avrebbe più forza contrattuale anche verso la Regione.
Per giunge ad un prezzo remunerativo del latte, che a conti fatti non dovrà essere inferiore a un euro, si dovrà incrementare il valore aggiunto di 200-300milioni, abbattendo innanzitutto i costi energetici e quelli di approvvigionamento dell'alimentazione animale, e accorpando i costi di promozione del prodotto all’estero, oggi a carico dei singoli industriali».
E poi «sarà necessario», ha giustamente concluso Cuccu, «diversificare la produzione in modo da compensare gli eccessi di offerta, determinati dal fatto che oggi il 70% del latte è destinato alla produzione del pecorino romano».
16 giugno 2013
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