Orobie: pastori sul piede di guerra contro l’orso JJ5

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11 marzo 2009 – L’orso è ancora in letargo e già attorno ad esso si rinfocolano idee, proposte , suggestioni e soprattutto polemiche. Stiamo parlando di JJ5, che dopo aver scelto come propria dimora le montagne di Ardesio, nel Parco delle Orobie, sta per riproporre, suo malgrado – con l’arrivo della buona stagione – tutte le problematiche legate alla sua natura e ai conflitti con i suoi antagonisti ma anche i non pochi favori di quanti, per indole protezionistica e per ragioni ambientaliste più o meno fondate, vorrebbero proteggerlo “nonostante tutto”.

Dopotutto, l’orso sulle nostre Alpi c’è sempre stato, sinché l’opera di bracconaggio e la caccia (oggi vietatissima, ma agli inizi del ‘900 legale e ricompensata) sono state diffuse per favorire l’espansione agricola e la presenza dell’uomo nei territori montani, fondata fortemente sulle attività allevatoriali (animali da latte, spesso al pascolo, e apicoltura) tipiche della montagna.

A seguito della mattanza registrata nella prima metà del secolo scorso, e dell’espansione delle attività turistiche, la presenza dell’orso si era ridotta drasticamente già negli anni ’60 (quindici esemplari censiti, concentrati in Trentino) per giungere al lumicino negli anni ’90, quando le stime riferivano di una popolazione di appena 3-5 capi.

Fu allora che si tornò a parlare dell’orso e della sua reintroduzione, che attraverso il progetto Life Ursus (1999-2002) portò all’arrivo di dieci esemplari provenienti dalla Slovenia, a cui si sarebbero aggiunti – si dice – alcuni esemplari giunti spontaneamente sulle nostre montagne e provenienti – pare – dallo stesso Paese.

Attorno al fenomeno del ritorno degli orsi sulla loro scena (avvenuto dopotutto a seguito di una breve parentesi di alcuni decenni), in questi ultimi anni, si sono creati due fronti contrapposti di “oppositori” e di “fautori” che operano una forte pressione sulle scelte di chi, a vari livelli, deve operare per la miglior gestione della cosa.

Con JJ5 che è ancora (per poco) in letargo, quindi, nel Parco delle Orobie c’è un gran fermento di riunioni, dibattiti, proposte e prese di posizione più o meno ufficiali e persino qualche sentore di chi, stanco di tante chiacchiere, vorrebbe farsi giustizia da sé. Che siano chiacchiere da bar o reali rischi per JJ5 nessuno può dirlo con certezza, ma tantè che il sindaco di Ardesio, Antonio Del Bono, si ritrova ad ammonire tramite la stampa e le tv locali che «esistono istituzioni preposte a salvaguardare tanto gli allevatori quanto gli orsi e che sarà bene che la soluzione arrivi ufficialmente e che sia condivisa da tutti».

Peccato che al messaggio del primo cittadino del paese che ospita JJ5 si stiano contrapponendo opinioni divergenti: da una parte i consiglieri e il presidente del Parco delle Orobie, Franco Grassi, dall’altra i rappresentanti della Coldiretti e quelli delle associazioni degli allevatori e dei pastori transumanti lombardi.

In questi giorni proprio Grassi sta portando avanti – non senza qualche fatica – l’intenzione di consegnare alla Regione Lombardia un pacchetto di proposte condiviso da tutti, e per giungere ad un punto fermo si sta operando per smussare, cucire, riunire le varie proposte di parte e definirne una più complessiva, che possa essere accettata da tutti.

Il “cosa fare” è però inevitabilmente legato all’imponderabile. “Cosa farà JJ5 al suo risveglio?”. Alle tante possibili risposte si agganciano le varie proposte che stanno emergendo. Tornerà da dove è venuto, vale a dire in Trentino? Se lo augurano in molti. O riprenderà a cacciare facendo strage di pecore (l’anno scorso più di sessanta) e di arnie? Per capirlo pare che si organizzerà un monitoraggio delle attività dell’orso, attraverso cui valutare come gestire la situazione.

Tra le diverse voci in circolazione, una dice che al Pirellone si starebbe già lavorando alla costituzione di squadre di “dissuasori” (delle “ronde padane” anti-orso, ndr) che dovrebbero tenere lontano il plantigrado dagli allevamenti, spingendolo quindi a cacciare la fauna selvatica. Di sicuro gli allevatori avranno bisogno di cani ben addestrati e di quelle attrezzature – reti elettrificate e altre opere di difesa di baite e stalle – che altrove hanno permesso quantomeno una riduzione dei danni, ma non è detto che per questo ci siano fondi a cui accedere in tempi celeri.

In ogni caso, la proposta del Parco giungerà presto ai piani alti della Regione Lombardia e, se tutto andrà bene, qualche decisione potrà essere presa prima che l’orso, finito il suo primo letargo nelle Orobie, decida di ritornare nella sua piccola comunità trentina o di rimanere in terra bergamasca.