Pastori sul piede di guerra contro gli agnelli “no-strani”

3 aprile 2009 – A Natale avevano promosso lo sciopero della pecora, e ora che la Pasqua è alle porte, gli allevatori abruzzesi rilanciano il loro grido d’allarme contro l’invasione del mercato da parte degli agnelli d’importazione spacciati per essere locali. «Ogni territorio ha le sue ricchezze e tradizioni», protestano gli interessati dell’Arpo (Associazione Regionale Pastori Ovicaprini) attraverso un loro nota stampa, «ma se siamo invasi da carne di agnello “nostrano”, “locale”, “abruzzese”, che sui banchi dei supermercati e ipermercati costa meno di 5 Euro al chilo, vorremmo proprio conoscere questo allevamento in Abruzzo che riesce ad attuare costi del genere, per fargli i nostri complimenti».

«Noi infatti», proseguono i pastori abruzzesi, «con trent’anni d’esperienza e migliaia di pecore al pascolo nelle nostre terre, non riusciamo a vendere la carne d’agnello a prezzi simili, e saremo costretti a chiudere per questa concorrenza sleale».

Non solo parole, ma anche cifre a dimostrare che un agnello venduto a meno di 5 Euro al chilo, come capita di vedere, «è più strano che no-strano».

«Ognuna delle nostre pecore produce un agnello all’anno, perché crediamo in un allevamento non intensivo e rispettoso dei ritmi della natura; per nutrirla, come alimentazione integrativa durante i mesi invernali quando i pascoli non sono accessibili per la neve (stiamo fino a 1300 metri di quota) ci vuole un quintale di granaglie (a 20 Euro al quintale) e due di fieno (a 12 Euro al quintale), aggiungete i costi di gestione dell’azienda e il personale, in servizio 365 giorni all’anno, e diteci come si fa a vendere un agnello a 5 Euro al chilo».

«Vorrà dire», s’accalora Nunzio Marcelli, che dell’Arpo è il presidente, «che andremo a vendere il pollo alle mandorle (tipico piatto cinese, ndr) o il borscht (piatto della tradizione est europea) perché questa concorrenza sleale e spietata non ci lascia speranze e ci ruba il nome per vendere ai consumatori ignari un prodotto che – lo abbiamo dimostrato conti alla mano – non può essere nato e allevato in Abruzzo».

L’Arpo invita quindi i consumatori, ma anche i politici e le istituzioni, a visitare le aziende e vedere da vicino le modalità d’allevamento, i pascoli, la vita dei pastori, e seguirli nel lavoro quotidiano con il gregge; «e per chi non ha la possibilità di raggiungerci», aggiungono, «installeremo una web-cam per rendere sempre più trasparente il nostro lavoro ma anche le difficoltà quotidiane per portare avanti una tradizione in cui crediamo, per fare un prodotto  genuino e sano, tutelare l’ambiente e mantenere gli allevamenti come una volta, consentendo anche uno sbocco economico ad aree sempre più spopolate».

Tanti scandali alimentari non hanno ancora insegnato ai politici che bisogna tutelare le aziende oneste, che lavorano e producono sul territorio, e che oltre ad essere una risorsa economica sono un investimento per il turismo eno-gastromico e per l’ambiente, che contribuiscono a conservare. Invece basta fare un giro per i supermercati e ipermercati per vedere che, anche approfittando della crisi economica, chiunque può impunemente mettere in vendita a prezzi ridicoli carne d’agnello proveniente da chissà dove, pubblicizzandola come “nostrana” o “locale”, e mandando così in rovina una grande risorsa della nostra Regione.

Ma gli allevatori “no-strani” non hanno intenzione di arrendersi, e annunciano “iniziative clamorose” per i prossimi giorni, se Regione ed enti istituzionali non prenderanno una posizione chiara e forte a tutela del vero prodotto locale.