Si sono chiusi i battenti, ieri sera, sulla 106esima edizione della Mostra del Bitto di Morbegno, manifestazione nata quando il Bitto era prodotto unicamente (e da oltre mille anni) nelle Valli del Bitto e i mangimi e i fermenti, ammessi poi dal Ctcb (Consorzio Tutela Casera e Bitto) nel Bitto Dop, neanche esistevano. Un evento che ha richiamato un pubblico prevalentemente locale e poco consapevole della dicotomia che il Bitto (Bitto Dop e Bitto storico) vive ormai da qualche anno. Ma andiamo con ordine.
Dalla nascita della Dop il Bitto viene prodotto ovunque e indiscriminatamente in provincia di Sondrio, a seguito di un colpevole quanto ampio allargamento dell'area di produzione. Un allargamento voluto dalla politica locale che con il suo fare è stata responsabile della scomparsa di diverse altre tipologie di formaggio. Il Bitto Dop quindi si fa solo in alpeggio, certo, ma si può produrre alimentando le vacche con mangimi – in misura non controllabile – e usando nella caseificazione i fermenti selezionati, responsabili della standardizzazione del gusto (servono a ridurre i difetti e quindi gli scarti, ma coprono le diversità del gusto tra alpeggio e alpeggio).
Ora è evidente anche che, laddove non esistono i calecc, ripari in pietra presenti dalle origini sugli alpeggi della Val Gerola (soprattutto) e della Valle di Albaredo (pochi) e dove quindi la caseificazione non può essere fatta a caldo (da latte appena munto, quindi con temperatura assai vicina a quella di caseificazione), il prodotto perda altra qualità. Se poi sommiamo a tutto questo la non obbligatorietà del latte di capra nel Bitto Dop (obbligatorio di capra di razza Orobica nel Bitto originario, oggi denominato "Bitto storico"), abbiamo due prodotti che potranno forse e in rari casi assomigliarsi, ma che davvero in comune hanno il nome e nulla più.
In questa situazione di poca chiarezza o meglio di molta confusione, da qualche tempo si stanno insinuando un esercito di furbetti del formaggino, in Valtellina come altrove. Si tratta di miseri speculatori che smerciano prodotti dal banale al mediocre alludendo al Bitto storico e sfruttando la notorietà che quello ha raggiunto in Italia e nel mondo, grazie al proprio buon lavoro e alla vetrina offertagli dall'assegnazione del Presidio Slow Food. Che però raggiunge un piccolo segmento di mercato, più competente e appassionato della media. Gli altri? In mancanza della sufficiente informazione, si lasciano prendere in giro.
Ma veniamo alle speculazioni, che sono operate in diversi modi, molti dei quali ben manifesti nel corso della Mostra del Bitto: con riproduzioni di calecc a grandezza naturale, esibiti come simbolo universale laddove pochissimi produttori (della Valle di Albaredo) hanno la fortuna di poterli usare (e non sempre li usano), con cartellini del prezzo indicanti "Bitto storico" infilzati su forme di Bitto Dop (evidente falso, laddove queste ultime in genere utilizzano la pelure rossa che i produttori dello storico rifiutano), con l'apposizione di cartellini "Val Gerola" su banchi frigo che tutto contengono tranne che forme di quella vallata. E, ciliegina sulla torta, con il rivenditore valtellinese che, per servire formaggi d'ogni genere, indossa il grembiule "Associazione Valli del Bitto" procuratasi chissà dove o forse semplicemente taroccata in qualche ricamificio.
Insomma, un fenomeno prevedibile ma non giustificabile, che la crescente e meritata fama del Bitto storico ha naturalmente portato con sé, e che il Consorzio per la tutela del Bitto storico dovrà cercare di arginare al più presto, con efficacia e mettendo in campo ogni strumento possibile.
Per fortuna un primo segnale della determinazione a reagire il Consorzio del Bitto storico la offre già in queste ore attraverso il blog "Ribelli del Bitto", gestito dal professor Michele Corti, docente di zootecnia montana all'Università degli Studi di Milano e portavoce dei produttori storici. Il post, intitolato "Quegli scambi di identità tra Bitto e Bitto" e sopratitolato come "comunicato" del consorzio (clicca qui per leggerlo), è un attacco ad alcune situazioni particolari, con tanto di nome e cognome degli accusati, ma al tempo stesso rappresenta un atto d'accusa verso i valtellinesi tutti, e in particolare contro i non pochi che si sono espressi a favore dei produttori storici e che ora appaiono irresponsabilmente assenti.
21 ottobre 2013