Riceviamo e volentieri pubblichiamo, il contributo di Nicola Marinelli, allevatore estensivo di ovini del Basso Molise. Ci parla del caso Gran Manze, con un taglio che chiama in causa la politica regionale. E la sua inadeguatezza verso un’idea giusta del fare agricoltura e del fare per la collettività.
Molise, l’agricoltura che vogliamo – C’è Grande confusione sotto il cielo della nostra regione. Partiamo dal mega-impianto che la Granarolo deve realizzare con fondi comunitari a San Martino in Pensilis, cioè la costruzione di una mega stalla con 12.000 manze, su un’area che occuperà circa 100 ettari di buon terreno agricolo. Ormai il progetto è noto e disponibile; non voglio entrare nel merito ovviamente tecnico e per la precisione zootecnico della Granarolo, già trattato più che esaurientemente sulle vostre pagine, ma desidero entrare per un momento nell’aspetto politico del problema, cioè la politica agricola della regione Molise, ovvero su cosa propongono i nostri amministratori regionali per risolvere i problemi della nostra agricoltura.
Rilevo una certa contraddizione quando vedo alcune “misure” dell’assessorato all’agricoltura che riguardano incentivi per l’agricoltura biologica, e quindi di qualità, e nel contempo si regala ad una multinazionale una parte del nostro territorio per deturparla irrimediabilmente, come trovo contraddittorio parlare di filiera lattiero-casearia regionale che presuppone quantomeno di trasformare solo il latte con determinate caratteristiche qualitative prodotto in regione.
I nostri amministratori regionali, devono decidere da che parte stare; questa politica di un colpo alla botte ed uno al cerchio, non paga in termini di sviluppo del comparto agricolo, anzi crea dei pericolosi mix esplosivi: le produzioni intensive non sono compatibili con politiche agricole centrate sulla qualità, come il biologico, le tipicità della enogastronomia frutto del lavoro delle piccole aziende che si sono tramandate nel tempo, che hanno come centro il territorio, in armonia con l’intervento dell’uomo che interagisce in simbiosi come un unico corpo per creare paesaggi di enorme ricchezza e bellezza.
Anche con tutta la buona volontà, non riesco ad immaginare una colata di cemento su una parte della mia regione, che come scopo principale dovrebbe creare lavoro, dovrebbe risollevare la zootecnia; faccio fatica a comprendere come una multinazionale che segue la logica del profitto selvaggio dove il lavoro è solo un costo da abbattere, può dare un valido contributo allo sviluppo di un territorio. Infatti se faccio due conti, rilevo che in termini di occupazione la mega struttura della Granarolo ne produrrà ben poco: si parla di 50 unità lavorative dirette, e altre 50 indotte. Se teniamo in considerazione un impianto simile, anche se un po’ più piccolo, presente in Spagna il quale impegna solo circa trenta unità-lavoro, inoltre, parlare di indotto, in termini di approvvigionamento di foraggi per gli animali, anche questa affermazione, non è altro che una grande balla, in quanto le suddette manzette saranno alimentate per il 90% con mangimi che la Granarolo acquisterà sul mercato, al prezzo più basso. Inoltre non serviranno nemmeno i fantomatici trasportatori dei reflui zootecnici perché verrà costruita una centrale a biogas, sempre un regalo con fondi comunitari.
Quindi cosa spinge gli amministratori regionali ad attuare una simile scelta per la zootecnia del Molise? Credo che la spiegazione stia nella loro incapacità di capire, conoscere, e di proporre alternative al declino della nostra agricoltura. Essi partono dal presupposto che il comparto in crisi con la forte contrazione e chiusura delle aziende, si risolve semplicemente dando mano libera alle speculazioni delle multinazionali. Questa miopia e mancanza di progettualità politica ed economica nell’agricoltura come in altri settori, conduce a chiudere grosse potenzialità di sviluppo agricolo sostenibile, con rispetto dell’ambiente, della cultura del territorio, del lavoro.
La nostra “fabbrica” è la terra, che con l’intervento razionale, con moderne tecnologie e nel rispetto dei principi della natura e delle sue leggi, l’agricoltore interagisce in un contesto di dare ed avere ottiene beni di alto valore atti a soddisfare i fabbisogni primari dell’uomo, quelli della sana alimentazione. Purtroppo le pessime politiche agricole hanno allontanato i giovani dalle nostre campagne, alienando intere generazioni in fabbriche, in contesti di lavoro precari e sotto-qualificati (call center, in forme di contratti a termine, etc.).
La situazione che si è creata è diventata esplosiva, perché siamo deficitari di tutti i principali beni di consumo primari, dalla carne all’ortofrutta ai cereali, siamo ricattabili, abbiamo perso la sovranità alimentare, siamo vulnerabili e condizionati da chi ci fornisce la materia prima di base, siamo alla mercè di speculatori senza scrupoli con l’unico obiettivo di fare profitto. E purtroppo la miopia di certi politici e politiche agricole, lucidamente e con ben precisi interessi di parte, hanno determinato questa catastrofe.
Diventa quindi determinante, invertire la rotta, ridare il giusto ruolo strategico alla nostra agricoltura, dove la centralità e il pilastro del sistema agricolo torna ad essere la piccola azienda agricola, che crea lavoro, con rispetto del territorio e qualità dei prodotti, dove la figura dell’agricoltore moderno, competente, e con l’apporto delle nuove tecnologie agricole, assolve un ruolo fondamentale e acquista rispetto nella società. Per fare questo sono determinanti le iniziative politiche, leggi adeguate, eliminare gli ostacoli che frenano i giovani ad investire in agricoltura, le pessime burocrazie, gli interminabili iter amministrativi, le politiche del credito per l’agricoltura.
Ci sono regolamenti comunitari che sono assurdi, che dietro fantomatiche questioni sanitarie, hanno determinato la chiusura delle piccole aziende agricole, al solo scopo di favorire la grande industria alimentare in regime di monopolio, potrei citare tantissime circostanze. L’amministratore, il legislatore, che ha a cuore l’interesse della collettività, deve derogare queste leggi comunitarie che hanno determinato la morte della nostra agricoltura; questo intervento è prioritario se vogliamo recuperare e ridare speranza all’agricoltura di qualità. La piccola azienda agricola, non può e non deve sottostare ai regolamenti delle grosse aziende che operano in agricoltura; bisogna quindi legiferare per andare incontro alle esigenze di chi quotidianamente si espone con grossi sacrifici in termini di lavoro e di investimenti economici. I giovani non devono essere spaventati da meccanismi burocratici paranoici, quindi bisogna riscrivere i procedimenti amministrativi, così come per le richieste di sovvenzioni e aiuti economici per le imprese agricole che attualmente richiedono tempi biblici per essere attuati, i fondi dell’agricoltura devono andare agli agricoltori; non possono perdersi in meandri di altra natura, e devono essere assegnati in pochissimo tempo.
30 milioni costa l’investimento della Granarolo, per creare qualche decina di posti di lavoro con alto impatto ambientale. E allora proviamo a dare, o meglio a distribuire 30 milioni di euro in quell’area a San Martino in Pensilis, proviamo a progettare con interventi sulle piccole e medie aziende: si possono fare investimenti e creare cinquanta nuove imprese agricole, ciascuna con 20 ettari di superficie, a vario indirizzo, dallo zootecnico, all’ortofrutticolo. Si possono allevare bovini da latte, in condizioni di totale rispetto delle condizioni di benessere animale, per produrre latte e formaggi di altissima qualità, un’azienda con venti vacche da latte, che trasforma in azienda i formaggi, necessita di quattro lavoratori. Lo stesso se si intende impegnarsi sull’allevamento ovino, dove con 200 pecore con animali prevalentemente al pascolo, impiega quattro lavoratori, e via dicendo, con altre tipologie aziendali.
I conti sono ben fatti, avremmo 200 addetti impiegati direttamente in azienda, con un indotto reale tra interventi di tipo veterinario, agronomico, meccanico e tutto quello che porta all’economia locale il lavoro dei suoi cittadini; avremo rispetto e salvaguardia dell’ambiente, prodotti di eccellenza a disposizione dei consumatori, un ritorno economico in quanto i fondi dell’investimento resterebbero integralmente nell’economia regionale. Inoltre la creazione di aree a sviluppo agricolo sostenibile, diventa luogo di interesse turistico in quanto rispettando ambienti naturali incontaminati e sommandosi con offerta di produzioni tipiche può fare da volano alla grande risorsa che sta nel turismo e particolarmente dell’agriturismo con interessanti ritorni sul territorio in termini di occupazione e sviluppo economico di qualità, dove agricoltura,turismo, cultura, arte, lavorando congiuntamente apportano rinascita ai nostri paesi in declino.
Qualche detrattore della mia tesi potrebbe dire che sono solo chiacchiere, difficili da realizzare e via dicendo. Si può e si deve realizzare: sicuramente è un progetto più complesso di quello della Granarolo, ovviamente la mala politica risolve il problema delegando a terzi soggetti, quello che non può, non vuole e non sa realizzare. Come tutte le progettualità ad ampio raggio, con grandi idee e grandi valori, richiede l’intervento e la partecipazione di tutti i soggetti sani della nostra collettività, tutte le istituzioni, devono intervenire e collaborare attivamente, e costruttivamente in quanto hanno il dovere morale di essere al servizio del cittadino, sono pagati dalla collettività, le figure professionali come gli agronomi, i veterinari, i tecnici di laboratorio, degli enti pubblici, come le Università, Arsiam, Asl, devono essere partecipi alla stesura e realizzazione di programmi di interesse pubblico, così come è importante l’intervento dei liberi professionisti anche nel loro interesse affinchè ci sia un territorio su cui operare ed esprimere la propria professionalità.
Se riusciamo a coordinare le energie e le intelligenze collettive presenti nella società che in armonia con suoi stessi interessi di sviluppo ecocompatibili, possiamo realizzare grandissime progettualità, perché la forza di un popolo è infinita.
Nicola Marinelli
dottore in Scienze
della Produzione Animale
11 novembre 2013