Aflatossine nel mais per le pecore sarde. Ma non mangiavano erba?

La nave cargo turca Erdogan Senkaya, con il suo carico di mais tossico, sequestrata dal tribunale di OristanoAncora aflatossine al centro di una cronaca dei giorni nostri; ancora una volta mais mal coltivato, mal conservato e – aggiungiamo noi – mal acquistato. Ma soprattutto, perché del mais, in Sardegna, acquistato in Moldavia, pagato in anticipo, e perché del mais alle pecore? 

Eh sì, perché le duemila tonnellate di mais sequestrate per ragioni sanitarie (le aflatossine sono cancerogene e resistono a pastorizzazione e stagionatura) martedì scorso dalla Guardia di Finanza al largo del porto di Oristano erano state acquistate (a quasi 3mila chilometri di distanza!) da centottanta pastori sardi, o per meglio dire allevatori, ognuno dei quali aveva versato un anticipo sui 5mila euro della propria quota-parte.

 

"Dopo il danno anche la beffa": è questa la conclusione a cui arriva il quotidiano La Nuova Sardegna online (clicca qui) nel raccontare la vicenda, che vede la nave sequestrata (e isolata per pericolo di incendio da autocombustione, leggi qui) e i pastori sul piede di guerra, attraverso i propri legali, per tentare di recuperare quanto già versato.

 

Dove va la produzione casearia sarda?

Ora però chiediamoci, al di là del fatto in sé stesso, e del danno ai pastori: ma se il mais fosse stato in regola, chi sarebbe stato beffato? Quanti altri acquisti del genere sono già andati in porto (perdonate il gioco di parole) senza che nessuno si ponesse il problema? E, da quanto dura questa storia? In sostanza, per quale motivo degli ovini, in natura erbivori, vengono alimentati (anche) a mais? E infine, il consumatore che acquista formaggi sardi, cosa si attende di portare in tavola?

 

Spinti dalla nostra infinita curiosità, siamo andati a cercare notizie in rete (lo potrebbe fare ogni consumatore, quando stimolato dal dubbio) e ci siamo imbattuti nel sito web di un'azienda specializzata nell'allevamento di pecore. Pecore di razze Sarda e Assaf (iperproduttive), destinate non tanto alla produzione di latte, quanto piuttosto alla riproduzione e al cosiddetto "miglioramento" di razza. Il risultato? Ecco cosa recita il sito, mettendolo in bella evidenza: "La tecnica di allevamento utilizzata è, per nostra scelta, di tipo intensivo molto simile a quello adottato per le vacche da latte. Le pecore sono sempre in stalla, possono muoversi liberamente tra la zona di alimentazione e i paddock esterni. Non vanno al pascolo e vengono alimentate con una miscela unifeed, costituita da fieni, insilato di mais, concentrati vari, integratori vitaminico-minerale, più un'integrazione con mangimi in sale di mungitura".

 

Da pastori ad allevatori: sotto lo scacco dell'industria

Ecco quindi rivelarsi più chiaro il motivo per cui gli industriali sardi del latte tengono da anni sotto scacco gli allevatori sardi (a questo punto così vanno chiamati – allevatori – e non più pastori, purtroppo): dapprima li hanno indotti con varie motivazioni (valori di grassi e proteine, risolvere il problema della siccità estiva, aumentare le produzioni, aumentare le vendite) a produrre secondo questa logica, poi li hanno messi in ginocchio sottopagando un latte che a guardar bene è sardo solo perché nasce in Sardegna. Ma che non ha più pieni legami con il territorio, con la terra e con l'erba dell'isola. Un latte come tanti in commercio, quindi, che l'industria può acquistare oggi in Romania, domani in Spagna, secondo la principale logica di ogni "buon" industriale: dove costa meno si compra.

 

Purtroppo, dietro a questa logica produttivista, in atto da anni, si sono via via accodate anche realtà cooperative, che dovendo competere con l'industria, e avendo volumi produttivi ragguardevoli, si son viste come costrette ad operare più sul fronte delle quantità che su quello della qualità, livellando il settore verso il basso.

 

Purtroppo per tutti, i tecnici operanti nella zootecnia intensiva hanno portato nel mondo degli ovicaprini una logica aberrante, diffusa nella zootecnia delle bovine da latte, in cui le miscele di cereali, proteine e foraggi, essiccati e ridotti ad un unico pastone sempre uguale a sé stesso, hanno trovato sempre più spazio sia per la loro economicità sia per la capacità di andare incontro alle richieste delle industrie, che vogliono un prodotto (il latte) sempre più standardizzato e a buon mercato.

 

Come può difendersi il consumatore

Ancora una volta, guardando dentro un fatto di cronaca e andando oltre a quello, giungiamo a confermare le conclusioni fondamentali per orientare al meglio un acquisto: tenersi informati, conoscere il produttore e sapere come opera, premiarlo se si è certi che sia orientato alla qualità reale e infine, mangiare meno ma mangiare meglio. In Sardegna esiste oramai una piccola percentuale di pastori degni di questo nome (ancora pastori, non allevatori): cerchiamo di salvaguardare il loro operato; di premiarlo oggi con i nostri acquisti, per garantirci la sopravvivenza delle loro eccellenze produttive e per poter disporre anche domani delle loro rare e incomparabili eccellenze.

 

16 dicembre 2013