La notizia circola da qualche giorno, cioè da quando la Coldiretti sarda ha deciso di fare il suo ennesimo lancio alla stampa: “il prezzo del Pecorino Romano è salito, sfondando quota 8 euro al chilo per il semistagionato (8,35/8,50€/kg il prodotto di cinque mesi) e il popolo dei pastori e allevatori deve pretendere almeno un euro al litro”. Di sicuro la questione lascerà indifferente l’italiano medio, incapace di afferrare notizie altalenanti, in cui un settore è ritratto oggi al collasso e domani in ripresa. Ma questo ai più interesserà poco.
In sostanza, dopo le riunioni dei giorni scorsi, tenutesi nella sede Argea (ente del sistema agricolo regionale sardo) di Santa Giusta, nell’oristanese, con al tavolo dei “lavori” i vertici regionali della medesima confederazione agricola, alcuni responsabili amministrativi (dell’Assessorato all’Agricoltura), dei consorzi di tutela di Pecorino Romano e Pecorino Sardo e – come li definisce la Coldiretti nelle sue note stampa – non meglio specificati “protagonisti della filiera del latte in Sardegna” (i pastori dov’erano?), è stata espressa una certa soddisfazione, pur rimanendo l’obiettivo ancora da raggiungere. E l’obiettivo dichiarato è proprio quello di “sollevare il prezzo del latte almeno ad un euro”.
«Accogliamo favorevolmente l’apertura del presidente del consorzio di tutela del Pecorino Romano Renato Illotto», ha commentato il presidente Coldiretti Sardegna Battista Cualbu, aggiungendo che il medesimo ha dato la massima disponibilità alla consultazione di tutti i dati sugli andamenti dei prezzi e i quantitativi di produzione del formaggio, annunciando che fra qualche giorno li pubblicheranno anche nel proprio sito web. Una novità di fondamentale importanza perché arriva dopo anni in cui si era interrotta la pubblicazione dei bollettini periodici».
Si ripartirebbe quindi da cifre certe (speriamo!, ndr), per andare avanti. «In questo modo ci si potrà confrontare alla luce del sole», aggiunge il direttore della Coldiretti regionale, Luca Saba: «avremo gli strumenti per una leale programmazione produttiva di filiera che noi chiediamo da più di un anno. Bene, si stanno finalmente prefigurando le condizioni per raggiungere un accordo interprofessionale».
«Quando tutti gli anelli della filiera», hanno concluso i due, «metteranno sul tavolo i numeri che gli competono non avremo difficoltà ad arrivare a stabilire un’adeguata remunerazione anche per il pastore”. In settimana è previsto un nuovo incontro tra le parti, per proseguire nel trattativa, con alcune certezze non proprio positive di cui nessuno parla: sinché il prezzo del latte sarà legato all’andamento del mercato del Pecorino Romano, le fortune e le sfortune dei pastori e degli allevatori dell’isola dipenderanno sempre dalle capacità, dalla fortuna e dagli errori degli industriali (come quello compiuto anni fa spingendo eccessivamente sull’export di Pecorino Romano grattugiato, che portò il settore al collasso nel 2003-4, ndr).
Sull’altro fronte c’è da pesare un ulteriore errore compiuto da molti allevatori – alcuni dei quali vendono alle industrie, ma non tutti – e che è presto detto: aver accettato una deriva produttivista che punta alle quantità (utilizzando molto mangime e concentrati); è inevitabile: il loro latte è un prodotto che si valuta sui soliti quattro fattori che premono all’industria: grassi, proteine, carica batterica e cellule somatiche. Un latte che non vale né più né meno di quello che può arrivare – con comode spedizioni via mare dalla Spagna – a prezzi sempre più bassi. Un latte che ha perduto il legame con il territorio, e che altro non è che la materia prima per realizzare prodotti industriali e globalizzati. E per lasciare il coltello dalla parte del manico alle industrie. Alla faccia dei tavoli di concertazione e degli accordi-farsa.
Pur restando quella pastorale una questione di rilevanza assoluta, a noi sembra doveroso indicare come figure esemplari e come personaggi di riferimento quei pastori che hanno avuto la capacità, l’ambizione e la forza di tenerselo il loro latte. Per trasformarlo in proprio o al massimo in cooperativa, laddove la cooperativa cerchi di lavorare in maniera non industriale. È allora, quando il pastore il latte lo fa per sé e lo trasforma per i suoi clienti, che nel latte si possono “incontrare” anche i micronutrienti, che a dispetto del nome sono quelli che più contano (Cla, Omega3, beta-carotene, vitamine, etc.): per averli serve un’alimentazione a base di erba polifita e fieno locali, con poche integrazioni vegetali. E senza tavoli di concertazione.
13 ottobre 2014