Arrivano giorni in cui anche i più potenti rischiano di provare non proprio la paura ma quantomeno del timore, anche se non ammetteranno mai di avere né l'una né l'altro. Arrivano altri passaggi della vita nei quali – per ridare sostanza alla loro presunta immagine di benemeriti "creatori di lavoro" – certi soggetti si determinano a lanciare roboanti annunci di reclutamento dipendenti (come questo), magari dopo averne licenziati altri. Dotati di uffici stampa assai efficienti e di acuti pensatori (s'ingegnano in cose come questa), sempre pronti nel garantire la massima copertura mediatica, detti personaggi nulla possono se non iniziare – forse – a preoccuparsi di qualcosa se e quando nell'agone del mercato scende in campo un loro simile.
L'annunciata discesa di Autogrill (leggi qui) nel segmento del cibo di fascia alta (per loro di ciò si tratta) difficilmente innescherà qualche competizione tra big. I Benetton e Farinetti, non andranno ad alcuno scontro; più verosimilmente si spartiranno una torta un poco meno grande ma talmente grande (in Italia e all'estero) da permettere a ciascuno dei due di non curarsi dell'altro.
Quel che dà da pensare è invece ciò che accadrà attorno ai due "capitani d'impresa": da un lato il sommo esegeta del precariato renziano (leggi qui), dall'altro i grandi fautori della globalizzazione (lo sono da circa vent'anni, padroni di un decimo di Patagonia, ottenuto sfrattando gli indigeni; leggi qui). Attorno ai due si gioca e giocherà nel tempo una partita fatta di asservimento e mimetismi, di bugie e tradimenti, di contraddizioni e di briciole che varranno milioni (di euro) per chi sarà in prima fila e al loro fianco a raccattarli. Si dice che per qualcuno conti più il fine che non il mezzo. Per altri solo ed esclusivamente il fine. E l'impressione è che il peggior epilogo possibile stia per essere servito a quel mondo agricolo che ancora si ostina a fare qualità e che sarà il primo ad essere tradito e nel peggiore dei modi.
I molti che erano e sono ancora illusi nella realizzabilità di un "cibo lento", equo e solidale abbandonino la pratica delle deleghe in bianco, aprano gli occhi e si rimbocchino le maniche. Non dentro un movimento ormai irriconoscibile tanto si è trasfigurato al peggio, ma in proprio, nel loro piccolo giardino e negli spazi sociali che si sapranno conquistare e che gli saranno concessi. Il domani è già oggi ed è evidente. Oltre i prezzolatissimi comunicatori, oltre la stampa sempre-pronta-alla-bisogna, al di là degli onnipresenti guru e dei saccenti, si sta giocando una delle più grandi farse che il mondo agricolo abbia mai avuto modo di sopportare: più di quanto ogni mela o linea verde ci abbiano saputo cantare e raccontare.
L'agricoltura – non certo l'agroindustria – è in grave crisi nel mondo intero. Firme come Coca Cola (con un mega-padiglione intereamente riciclabile: che bravi, eh?) e McDonald's hanno messo mani tutt'altro che candide sull'Expo (leggi qui), fiera di piccoli e grandi scandali, dalle mazzette milionarie al lavoro non retribuito dei giovani volontari. Chiamarsi fuori adesso, per Carlin Petrini e soci, sarebbe l'unica scelta possibile – ma assai improbabile, a nostro avviso – per salvare la faccia e recuperare un qualche legame con le proprie origini. E per preservare la parte migliore di sé: quella base pensante, vera e reattiva del movimento che mai come oggi si è sentita così poco rappresentata e così tanto tradita.
2 marzo 2015