Sardegna pastorale tra attacchi dei ”lupi” innovatori e incubo-pantera

Periodo di rassegne zootecniche in Sardegna, quello primaverile. Tra le diverse iniziative, quella su cui si soffermava l'attenzione di molti, dopo tre anni di sospensione, è stata la 9a edizione della "Mostra zootecnica degli ovini di razza sarda", che ha visto la partecipazione di trentadue aziende e di 2.500 ovini. All'interno della manifestazione, il convegno "Tradizione e innovazione", tenutosi sabato 25 aprile, testimonia la forte spinta che il comparto dell'isola sta subendo verso un'impostazione (genetica e alimentazione spinte, produzioni portate all'eccesso) su cui sarebbe bene riflettere un poco di più di quanto si faccia e si sia fatto.

Riflettere sul cosiddetto "miglioramento" è necessario per non mandare alla deriva un intero comparto, perché le quantità allontanano sempre dalla qualità, perché oltre all'oggi bisogna saper guardare al domani, e perché se si vuol parlare onestamente di prodotti legati al territorio non si può basare la dieta degli animali sempre e solo – o prevalentemente – sui mangimi. C'è poco da fare: l'organismo delle lattifere di genetica "migliorata" (che non sia meglio chiamarla "spinta"?, ndr) ha bisogno di essere "sostenuto" sempre più con i mangimi, i concentrati e gli insilati. Si sa che se si eccede nelle integrazioni, il latte non potrà mai essere un buon latte. In tutto questo parlare e raccontare, in troppi si dimenticano – anche tra i ricercatori – che le pecore sono erbivori e come tali andrebbero trattate.

Strano ma vero: neanche questo governo regionale, da cui era lecito attendersi qualcosa di più, sa invertire la tendenza. Tra i tecnici impegnati in questo "miglioramento", tra i docenti universitari, tra i pastori  – "migliorati" oramai anch'essi al ruolo di "allevatori" – nessuno sembra sapere che se si aumentano le quantità, la qualità inevitabilmente cala, anzi va a picco. Questione che non interessa l'industria, anch'essa protesa a produrre tanto (ecco che il cerchio si chiude: produrre tanto per vendere tanto; ma cosa?). E sempre. Come se non fosse che latte e derivati abbiano una loro stagionalità.

Sarà bene quindi fare chiarezza rispetto alle ultime cronache dei media isolani (leggi qui e qui) che ancora una volta riportano acriticamente gli orientamenti delle solite associazioni. Cronache che – a saperle leggere – ci sarebbe da restare di stucco, come quando riferiscono il pensiero di Marino Contu, direttore dell'Aras (Associazione Regionale Allevatori Sardegna), che tra i tanti esempi da portare per sostenere le proprie tesi arriva ad affermare che «le nostre aziende sono ai vertici in Europa per ciò che riguarda l'innovazione. Persino i pastori del Roquefort, rinomati per questo in tutto il mondo, non hanno la nostra dotazione tecnica». Sarà pur vero, com'è vero purtroppo che in tutto questo tempo la Sardegna non è riuscita ad introdurre sul mercato nessun nuovo prodotto in grado di affermarsi come il Roquefort. Perché non ha saputo diversificare le proprie produzioni, ristagnando nell'ambito di quella tipicità che non va affatto incontro alle tendenze del mercato.

Come se questo non bastasse, il programma del convegno ha evidenziato altri aspetti legati alla cattiva gestione del "progresso", tra cui il fenomeno delle mastiti. La più classica delle malattie infiammatorie della mammella è strettamente legata alle "innovazioni" e al "miglioramento", al pretendere troppo, senza tener conto della natura degli animali, forzandoli a colpi di genetica, alimentazione e sfruttamento. Bene, anziché cercare di risolvere la problematica a monte, andando a correggere quanto è stato sbagliato sinora, gli esperti ricercatori sardi (è stata coinvolta l'Università di Sassari) altro non sanno fare – udite udite – che lavorare ad "un prototipo che consentirà di diagnosticare la mastite subclinica a costi bassissimi". Come a dire agli allevatori che "ormai ce la teniamo, ma cerchiamo di individuarla prima che ci causi danni economici".

Nel Goceano va anche peggio
Mentre l'intera Sardegna pastorale quindi non ride, protesa com'è verso un futuro sempre più "spinto", un territorio dell'isola soffre più degli altri a causa di una vicenda grottesca oltre che inquietante. Un felino in libertà sta portando il terrore e la morte tra gli ovini. Accade nel Goceano, territorio in cui da oltre un mese si parla della presenza di una pantera, avvistata in marzo da alcuni cacciatori nei territori di Bultei e Nughedu San Nicolò.

A nulla sinora sono valse le iniziative prese dalle amministrazioni competenti: né le fototrappole attivate da allora né i prelievi del Dna recuperato sulle carcasse delle prime pecore uccise hanno saputo dare una risposta alle domande e alle paure. Dopo i primi attacchi di marzo, e un silenzio mediatico accompagnato dal tam tam di altri possibili attacchi accaduti, ecco che la questione si riaccende: l'ultimo episodio a Benetutti, registrato la scorsa settimana, con oltre quaranta capi uccisi.

Ora la paura però prende un altro spessore; oltre ai timori per le greggi emergono quelli per la popolazione: i boschi della zona sono meta di famiglie a partire dalle festività del primo maggio, e il comprensibile timore costringerà molti a disertare la sana consuetudine dei picnic primaverili.

27 aprile 2015